E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza quello per cui al rapporto di agenzia, sia esso a tempo indeterminato o determinato, si applica l’istituto del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., che consente di recedere in tronco dal rapporto contrattuale senza l’obbligo di concedere alcun preavviso (e, dunque, senza alcuna indennità sostitutiva) nel caso si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, ovvero, in altre parole, si verifichi un grave inadempimento contrattuale.
A tal proposito, come rilevato dalla recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 9779/2011; Cass. Civ. N 393/2012; Cass. Civ. N 6005/2012) questa possibilità di applicazione analogica al contratto di agenzia, per le situazioni di grave inadempimento contrattuale, dell’art. 2119 c.c., non determina l’estensione tout court al contratto di agenzia stesso dei criteri interpretativi normalmente usati nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, richiedendo, invece, un loro adattamento al differente conteso contrattuale che tenga conto delle caratteristiche e particolarità proprie del contratto di agenzia.
In particolare, occorrerà tenere conto della diversa posizione che le parti contrattuali hanno nel rapporto di lavoro subordinato e nel rapporto di agenzia, con particolare riguardo alla diversa capacità di resistenza che ciascuna delle stesse può manifestare nella complessiva economia del rapporto.
Così mentre l’inadempimento all’obbligazione retributiva da parte del datore di lavoro può assumere di per sé, ove non del tutto accidentale o di breve durata, una gravità sufficiente a giustificare le dimissioni per giusta causa del lavoratore, nel rapporto di agenzia la gravità di un tale inadempimento da parte del preponente va commisurata alle complessive dimensioni economiche del rapporto ed alla incidenza di tale inadempimento sull’equilibrio contrattuale costituito dalle parti, stante l’autonomia e l’indipendenza dell’agente e,dunque, la sua maggiore resistenza rispetto al lavoro subordinato.
E’ chiaro che sarà il Giudice di merito a dovere compiere tale valutazione che sarà incensurabile in sede di legittimità se sorretta da un accertamento sufficientemente specifico degli elementi di fatto e da corretti criteri generali ispiratori del giudizio di tipo valutativo.
Quanto all’obbligo di contestazione immediata dei motivi di recesso per giusta causa, la giurisprudenza maggioritaria ha affermato il principio che la necessità della contestazione immediata, sia pure sommaria, delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, con la conseguente preclusione di dedurre successivamente fatti diversi e ulteriori, opera solo in relazione al recesso del preponente, mentre il recesso per giusta causa dell’agente non è invece condizionato ad alcuna formalità di comunicazione delle relative ragioni.
Secondo un altro indirizzo giurisprudenziale, invece, ai fini della legittimità del recesso per giusta causa, anche il preponente non è tenuto a fare riferimento – fin dal momento della comunicazione di recesso – a fatti specifici, essendo al contrario sufficiente che di essi l’agente ne sia a conoscenza anche aliunde o che essi siano, in caso di controversia, dedotti e correlativamente accertati dal giudice.
Per ciò che concerne gli effetti del recesso per giusta causa, la giurisprudenza consolidata ritiene che l’agente non abbia diritto ad alcuna indennità nel caso di recesso per giusta causa operato dal preponente. Al riguardo, specifiche disposizioni regolamentari descrivono il meccanismo che deve essere seguito dal preponente per la restituzione delle somme accantonate presso il Firr. Il preponente, per ottenere il rimborso da parte dell’Enasarco di tali somme, deve trasmettere all’Ente, entro trenta giorni dalla cessazione del rapporto, una dichiarazione, sottoscritta anche dall’agente, che attesti che lo scioglimento del contratto è dovuto a una delle cause suddette. In caso di contestazione fra le Parti interessate in ordine alla effettiva ricorrenza di tali cause, l’Enasarco procederà alla liquidazione delle somme di spettanza, a esito del componimento della controversia, in via giudiziaria o stragiudiziale.
Qualora, invece, sia l’agente a recedere dal contratto per giusta causa (o, come si esprime l’art. 1751 c.c. “per fatto imputabile al preponente”) lo stesso avrà diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, all’indennità suppletiva di clientela prevista dagli accordi economici collettivi per la fattispecie di estinzione del rapporto su iniziativa del preponente (Cass. Civ. n. 23455/2004).
Altra causa tipica di scioglimento del rapporto di agenzia è la predisposizione nel contratto istitutivo del rapporto di una clausola risolutiva espressa.
Come affermato anche dalla Cassazione con la sent. n. 8607/2002, infatti, «nel rapporto di agenzia, a differenza del rapporto di lavoro subordinato, è consentita la predeterminazione consensuale dell’inadempimento, che legittima il recesso senza preavviso».
In questo caso preponente e agente determinano, preventivamente, l’importanza dell’inadempimento e ne fanno discendere, attraverso la predisposizione di tale clausola, la risoluzione del rapporto, qualora una di esse si riveli inadempiente all’obbligazione contrattualmente convenuta.
La Cassazione nella sent. n. 4659/ 2002 ha anche sottolineato che a differenza di quanto previsto per il rapporto di lavoro subordinato, la disciplina del contratto di agenzia non preclude alle Parti la stipulazione della clausola risolutiva espressa (art. 1456 cod. civ.) con la conseguenza che, ove le Parti abbiano preventivamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere alcuna indagine sulla gravità dell’inadempimento stesso rispetto all’interesse della controparte, ma deve solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato quanto meno a titolo di colpa, che, peraltro, si presume ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. (si verifica, dunque, un’inversione dell’onere della prova).
Questa clausola, presente nella quasi totalità dei contratti standard consente alla parte a favore della quale è predisposta (quasi sempre il preponente) di porre termine al rapporto con effetto immediato in caso di violazione anche di una sola delle obbligazioni indicate nella stessa, indipendentemente da qualsiasi indagine sulla gravità dell’avvenuto inadempimento, senza dovere corrispondere alcuna indennità di mancato preavviso o risarcimento del danno.
La clausola risolutiva espressa non è considerata come vessatoria e, dunque, non necessità della doppia sottoscrizione al fine di garantirne la validità.
La questione aperta e foriera di tesi diametralmente opposte da parte della giurisprudenza riguarda l’esistenza o meno del diritto dell’agente alla indennità di fine rapporto in ipotesi di cessazione del contratto per l’operare di una clausola risolutiva espressa.
Infatti, l’art. 1751 c.c. consente al preponente di risolvere il rapporto senza corrispondere alcuna indennità di fine rapporto, solo nel caso di risoluzione giustificata da un inadempimento dell’agente così grave da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.
Ma propria tale valutazione della gravità dell’inadempimento manca in relazione all’operare di una clausola risolutiva espressa, sicché potrebbe verificarsi la possibilità di un legittimo recesso in tronco, con il diritto però dell’agente alla indennità di fine rapporto.
La questione è però, come detto, aperta e dibattuta.
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