Un problema che si pone spesso, nell’ambito dell’infortunistica stradale, è quello riguardante il contegno del pedone che viene investito mentre attraversa fuori dalle strisce. Ebbene, non è vero – a differenza di quanto comunemente si crede – che tale comportamento costituisca sempre un illecito colposo. A tal proposito, l’art. 190, comma 2 stabilisce che l’attraversamento della carreggiata può avvenire anche fuori dalle strisce: per la precisione, quando queste non esistono oppure distano più di 100 mt. dal punto di attraversamento: “I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l’attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri”.
Tuttavia, persino nel caso in cui le strisce si trovino a meno di 100 metri, non è detto che il pedone il quale non le utilizza sia passibile di sanzione, da parte dell’autorità, oppure sia addebitabile di un concorso colposo per il successivo, eventuale, investimento. La “regola dei 100 metri”, infatti, va interpretata e attuata in maniera elastica e con la dovuta intelligenza.
Invece, spesso la si svilisce applicandola in modo ottuso: come se la verifica maniacale dell’effettivo transito del pedone sopra le strisce, oppure al di fuori di esse, costituisse l’unico elemento da prendere in considerazione. Così da pervenire al perverso risultato di attribuire sempre e comunque un concorso di colpa al pedone che abbia attraversato la carreggiata non tenendosi rigorosamente entro il perimetro della segnaletica orizzontale zebrata.
Ora una sentenza della Cassazione penale, la numero 47.214 del 2019, ha contribuito a fare chiarezza in materia. Si trattava del caso di una signora che era finita sotto processo penale per essere stata investita fuori dalle strisce, da un ciclista, facendolo cadere e procurandone il decesso. La Cassazione ha assolto la donna nonostante ella non avesse camminato sugli spazi appositamente riservati ai pedoni. Infatti, l’attraversamento era comunque avvenuto, se non proprio “sulle” strisce, quantomeno nelle immediate vicinanze delle strisce stesse.
Pertanto, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la colpa esclusiva del fatto andasse addebitata al ciclista. Infatti, quest’ultimo (viaggiando dietro un altro corridore come capita a chi pratica questo sport in modo agonistico) non sarebbe stato in grado di accorgersi della presenza della signora neppure se quest’ultima avesse transitato sopra le strisce pedonali.
L’aspetto più importante della sentenza in esame, tuttavia, consiste nell’aver rimarcato che il diritto di precedenza a favore del pedone non è restringibile solo ed esclusivamente all’interno del millimetrico “contorno” delle strisce bianche, ma si estende anche alle loro immediate vicinanze. Soprattutto in considerazione del contesto urbano di riferimento. Significa che l’interprete dovrà tenere in considerazione, in massimo grado, la zona circostante all’attraversamento. In particolare, se questa è gremita di uffici o di negozi o di edifici destinati all’uso commerciale o abitativo, i conducenti dei veicoli dovranno usare la massima attenzione. Il motivo è chiaro: è da reputarsi circostanza assolutamente prevedibile quella dell’attraversamento (anche repentino) da parte di pedoni in zone ad alta densità di transito.
Un ultimo aspetto molto importante considerato dalla Corte di Cassazione, nel caso di specie, è quello del nesso di causa. Sia in ambito penale che in ambito civile, il rapporto di causalità tra la condotta umana e un evento di danno è disciplinato dall’articolo 40 e dall’articolo 41 del codice penale. In base a tali norme, nessuno può essere condannato per un fatto reato se questo non è conseguenza della sua condotta attiva od omissiva. In vicende come quella in esame, il giudice deve operare una specie di esperimento mentale (noto come “ragionamento controfattuale”). E – di fronte a un contegno illecito assimilabile a quello della signora transitante fuori dalle strisce – egli deve porsi un preciso quesito: chiedersi quale avrebbe potuto essere l’esito della vicenda se l’imputato avesse tenuto il comportamento lecito anziché quell’illecito.
Se la risposta a tale domanda è affermativa (nel senso che il danno si sarebbe comunque prodotto) si può affermare che non c’è il nesso di causa. Infatti, quand’anche il colpevole avesse tenuto un comportamento considerato lecito dalla norma, il danno si sarebbe comunque verificato. Per questa ragione i giudici, nella fattispecie in commento, hanno ritenuto di assolvere la donna la quale, procedendo a piedi, aveva attraversato le strisce a distanza di appena 9 metri dalle stesse.
Avv. Francesco Carraro
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