Venticinquemila studenti italiani impegnati all’estero nel programma Erasmus reclamano il loro diritto al voto per le elezioni politiche del marzo prossimo. Più precisamente, chiedono che venga loro permesso di votare nelle sedi diplomatiche, come già possono fare gli altri cittadini italiani che hanno la residenza all’estero, o i ricercatori e i docenti che si trovano anche solo temporaneamente all’estero, o i familiari di quei docenti e ricercatori.
Il ministro Cancellieri ha già annunciato l’impossibilità di permettere il voto all’estero per gli Erasmus a causa di non meglio definiti “problemi organizzativi”. Per contro, ha promesso una riduzione del 70% sui mezzi di trasporto deputati a riportare in Italia gli aspiranti votanti.
Concedendo una possibilità all’ottimismo, si ammetta pure che i fondi destinati alla riduzione riescano a divincolarsi dalla morsa del Leviatano Crisi, o che non siano un mero contentino verbale da dare in pasto a un audience che da qui a febbraio avrà già dimenticato tutto.
Il vero problema è che nei 25 anni di esistenza del Programma Erasmus nessuno si è mai posto il problema di consentire con leggi apposite il voto agli studenti che ne prendono parte. Come se il problema, e forse anche l’Erasmus stesso, non esistessero. Ecco: prima di imbracciare le armi contro l’Europa delle banche, allora, era meglio dar prova di essersi accorti di avere sotto il naso uno dei più potenti strumenti di edificazione della coscienza europea, che non ha nulla a che fare né con Maastricht né con Francoforte.
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