Ai fini dell’accertamento di tale nesso, la giurisprudenza si rifà alla teoria condizionalistica (della conditio sine qua non) desumibile dagli artt. 40 e 41 del codice penale, secondo la quale un evento è da considerare “causato” da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo.
Tale teoria è stata “temperata” da quella della “regolarità causale” onde evitare conseguenze abnormi: e cioè l’addebito di responsabilità risarcitorie, o addirittura penali, in capo a soggetti i quali hanno avuto soltanto un ruolo remotissimo e insignificante (sul piano causale) e addirittura nullo (sul piano soggettivo del dolo o della colpa) nella genesi di un (o nella contribuzione a un) evento di danno.
Secondo questa prospettiva, la responsabilità può essere affermata solo per le conseguenze della condotta, attiva o omissiva, che – nel momento in cui detta condotta si manifesta e in base a una valutazione ex ante (c.d. prognosi postuma) – appaiono sufficientemente prevedibili, mentre deve essere esclusa per le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili (Cass. S.U., n. 582/2008).
La domanda da porsi per sciogliere i nostri dubbi nella materia del nesso causale è sempre e solo unta: ragionando in termini di giudizio controfattuale, se diamo per non avvenuto il fatto effettivamente commesso (ovvero, viceversa, per accaduta la condotta omessa) il danno si sarebbe ugualmente verificato?
In caso di risposta negativa (cioè laddove il danno NON si sarebbe verificato) significa che la condotta ha avuto un ruolo dirimente, da un punto di vista eziologico.
Ora, a far data dalle notissime sentenze delle SS.UU. 576 e 581 del 11.01.2008 la problematica del nesso di causa si articola su due livelli: uno nomologico deduttivo (o relativo alle leggi di copertura scientifica), l’altro empirico-induttivo relativo alle “emergenze” istruttorie del quadro probatorio così come emerso in sede processual-civilistica.
Essendo questi i principi che regolano il procedimento logico-giuridico ai fini della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti.
In particolar.e la sentenza nr. 4024 del 20.02.2018 ha richiamato un principio di fondamentale importanza cui il giudice non può e non deve sottrarsi: e cioè il suo dovere di decidere, in un giudizio civile, anche laddove vi sia una pluralità di ipotesi esplicative sul tappeto: “Quando un evento dannoso sia teoricamente ascrivibile a più cause, solo alcune delle quali implicanti una responsabilità civile, il giudice non può rigettare la domanda di risarcimento per il solo fatto che le possibili cause siano più d’una, ma deve accertare in concreto quale, tra le varie possibili cause, appaia la più probabile. Tale giudizio va compiuto non in astratto ed in assoluto, ma in concreto e in relazione alla probabilità relativa che ciascuna ipotetica causa può avere rispetto alle altre”.
La sentenza de quo ha messo eminentemente in rilievo il ruolo decisivo del Giudice in materia di nesso di causa giacchè l’esistenza o meno di un nesso non costituisce un fatto materiale, ma semmai un giudizio: “Non v’è dubbio che quel che comunemente è chiamato “nesso di causa” non sia un fatto materiale, ma un giudizio. La causalità in quanto tale è una relazione stabilita dall’uomo a posteriori tra due fatti, e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile”.
Soprattutto, la pronuncia succitata ha evidenziato che non vi sono limiti agli elementi di carattere probatorio di cui può avvalersi un giudice nel decidere una causa civile in materia di responsabilità civile nel momento in cui si accinge a valutare la sussistenza o meno, in concreto, di un nesso causale.
Il magistrato, infatti, può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni: “Quando dunque si discorre di “prova del nesso di causa” si usa una espressione ellittica per designare la prova dei fatti materiali, sui quali fondare il ragionamento (non rileva qui se logico-deduttivo, analitico-induttivo, inferenziale, probabilistico) ricostruttivo del nesso o della sua inesistenza. Ma i fatti materiali sui quali si fonda il sillogismo sull’esistenza o l’inesistenza del nesso di causa possono essere oggetto di qualsiasi mezzo di prova, non ponendo la legge alcuna limitazione al riguardo: e dunque potranno provarsi con documenti, testimoni, giuramento, confessione e presunzioni semplici. Questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, nelle materie più diverse” (Cass. 2024/2018).
Avv. Francesco Carraro
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