Il naufragio della Concordia e la sofferenza del diritto…

… L’acqua è nera, fredda, troppo fredda … i vestiti ti si bagnano addosso e pesano quintali, quasi a volerti strappare giù sino agli inferi degli oceani … il gelo ti paralizza le mani, ti blocca la lingua, ti fa girare la testa, ti sfianca i polmoni, ti prende a colpi di spilli il cuore … sei stanco … il  respiro si ferma … il battito anche … tu non lo potrai sapere ma non ci sarà più una crociera da sogno …

E’ così che, probabilmente, saranno morte le vittime della Concordia; i loro corpi divisi tra la fossa comune del mare aperto e le tombe di lusso delle cabine di prima classe.

Un disastro troppo vicino alla nostra vista e alle nostre case per non essere vissuto come un fendente che ti entra dentro e ti lascia il brivido della paura sin nelle più recondite pieghe delle budella.

Immediato il pensiero a chi sembra esserne stato la causa; bruciante la rabbia contro l’odiosa vigliaccheria di fuggire a riparare la propria pelle. Un ladro – non un uomo di mare cresciuto all’insegna dell’onore e dell’amore per la propria barca – forse avrebbe aiutato la donna in preda ad un infarto scippata qualche minuto prima …

Il desiderio di sbattere il comandante Schettino in una cella fredda e buia, esattamente identica a quel mare sfidato la notte maledetta, preme – fuor di ipocrisia – più forte ed irrefrenabile di qualsiasi pulsione legalitaria.

E si appalesa, verosimilmente, come il desiderio  dei più.

“Dei più” tranne che di un Giurista che si rispetti. “Dei più” tranne di chi, del mondo del Diritto e della Giustizia, deve essere in grado di conoscere e governare sofferenze e crudeltà: la crudeltà di dire a una madre che il presunto colpevole della morte di suo figlio è a casa a godersi i propri figli, tutti sani e salvi; la sofferenza, controllata e razionale, di sapere che non è possibile fare altrimenti, non in un ordinamento giuridico moderno, istituzionalmente preposto a controllare e superare impulsi ispirati ad antichi istinti tribali.

Il nostro Diritto Processuale Penale, figlio della nostra Carta Costituzionale, vuole che un uomo vada in carcere solo quando una sentenza di condanna sia passata in giudicato; solo all’esito di un processo penale; solo alla fine di tre gradi di giudizio cui quell’uomo ha diritto di accedere sempre, per qualunque reato il più ignobile o immorale che sia.

E non basta.

In Italia – almeno sino a quando continueranno a resistere i nostri secoli di storia giuridica – non si può essere incarcerati “preventivamente” al di fuori delle tre specifiche condizioni di legge indicate dall’art. 274 c.p.p. e della sussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari atte ad evitare il pericolo: a) che possano essere inquinate le prove e le indagini processuali; b) che l’indagato possa darsi alla fuga; c) che lo stesso indagato possa reiterare il fatto illecito.

Riflettiamo sui pericoli attuali e concreti di uno Schettino libero durante i mesi di attesa del processo.

Forse che il “nostro” potrebbe reiterare il fatto? E quale nave, quale armatore, quale compagnia di crociera oggi lo prenderebbe al comando …?!

Forse, potrebbe darsi alla fuga? Ad oggi, è fuggito solo dal suo gioiello galleggiante, né vi sono elementi concreti e specifici  per pensare ad altro tipo di fuga.

Forse, potrebbe inquinare le prove? Ma quali prove potrebbero superare lo strazio di quelle membra sparse in stato di avanzata decomposizione che ancora giacciono tra le lamiere della Concordia?

La custodia cautelare non può essere un’anticipazione di pena da dare in pasto alle fauci voraci di una folla assetata di vendetta.

Lo sa bene il Giudice per le Indagini Preliminari che ha concesso gli arresti domiciliari a Schettino. Lo sa bene la Procura che ha preannunciato – per evidente dovere d’Accusa – l’appello avverso l’ordinanza del GIP. Lo sanno bene i difensori delle vittime, cresciuti anch’essi all’ombra del nostro codice di rito.

E’ soltanto duro ammetterlo, ed ancora più duro proclamarlo ai quattro venti.

Ma i processi penali non servono a placare gli animi o lenire le sofferenze di chi resta; hanno il solo – ahimè limitato – compito di regolamentare l’Ordine e la Giustizia all’interno di una comunità.

Schettino sta già pagando tra le quattro mura di casa sua, e probabilmente soffrirebbe di meno se il respiro pietoso dei suoi compaesani alitasse lontano dalle sue finestre …..

Franzina Bilardo

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