È da qui che parte la rivoluzione del mercato dei diritti televisivi sulle partite di calcio.
Karen Murphy, proprietaria di un piccolo pub inglese, proprio non ci stava a pagare alla BSKYB – tanto per intenderci la nostra Sky – l’esoso canone di abbonamento richiesto per trasmettere liberamente le partite di calcio della Premier League all’interno del proprio locale. Più conveniente – deve aver pensato – acquistare un decoder greco per poche centinaia di euro all’anno e trasmettere con quello le prodezze calcistiche di Rooney & Co.
Il risultato? Una multa di ca. 8.000 sterline e una denuncia in sede penale per violazione dei diritti d’autore sulle partite spettanti alla Fapl – ovvero l’ente che in Inghilterra si occupa di commercializzare per conto delle squadre i diritti tv sulle partite, insomma la nostra Lega Calcio.
Ma la Sig.ra Karen non si è arresa subito e la questione è arrivata sino alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che, almeno in parte, ha finito per darle ragione.
I contratti tra Fapl e le varie Tv nazionali prevedono, infatti, un meccanismo in base al quale ciascuna emittente si impegna a criptare all’estero il proprio segnale, con il conseguente obbligo di non distribuire al di fuori dei propri confini i decoder necessari a rendere intellegibili le trasmissioni.
Attraverso tale sistema, da un lato, l’emittente televisiva ottiene l’esclusiva sul proprio territorio nazionale in relazione alla trasmissione delle partite di calcio, e dall’altro, la Fapl massimizza i proventi derivanti dalla commercializzazione dei diritti Tv nella misura in cui le emittenti sono disposte a pagare di più, pur di aggiudicarsi l’esclusiva.
Ma è contro questo meccanismo che si è abbattuta la scure della Corte di Giustizia.
Secondo quest’ultima, infatti, il principio della libera circolazione dei servizi all’interno dell’Unione rende leciti l’importazione, la vendita e l’utilizzo di decoder stranieri che consentano la visione di una trasmissione via satellite criptata, proveniente da un altro Stato membro.
In altri termini, quindi, non è possibile trattare i singoli mercati nazionali come compartimenti stagni attraverso il ricorso al meccanismo delle esclusive territoriali e un cittadino della UE deve essere lasciato libero di abbonarsi alla Tv satellitare greca piuttosto che a quella inglese.
Insomma, non più un mercato dei diritti Tv per ogni Stato membro ma un unico mercato europeo dove i diversi Broadcasters sono in concorrenza tra loro.
Sicuramente un principio dirompente in grado di cambiare le regole del gioco nella contrattazione dei diritti Tv tra le Leghe sportive da un lato – Fapl, Lega Calcio, etc.. – e le emittenti televisive dall’altro.
Ma la portata rivoluzionaria del principio affermato dalla Corte si evince ancora più chiaramente se si guarda ai potenziali effetti che potrebbe avere sulla distribuzione dei contenuti digitali attraverso la Rete.
Mi vengono in mente clausole come quelle in uso nelle condizioni generali di iTunes in forza delle quali l’utente è tenuto a non utilizzare o tentare di utilizzare il servizio al di fuori dell’Italia. Oggi invece i consumatori italiani dovrebbero essere lasciati liberi di scegliere lo Store Apple di loro maggiore gradimento fra quelli stabiliti all’interno dell’Unione.
Ma anche le attività di cosiddetto “linking”, ovvero quelle che consentono agli utenti di collegarsi a siti di altri Paesi membri per la visione di contenuti tutelati dal diritto d’autore, non potrebbero più essere considerate illecite in forza dell’esistenza di esclusive territoriali nazionali – ciò non toglie ovviamente che laddove l’accesso al contenuto sia condizionato al pagamento di una somma di denaro, questa deve comunque essere corrisposta all’avente diritto-.
Insomma la sentenza della Corte di Giustizia farà ancora molto parlare di sé nei prossimi mesi, soprattutto quando si tratterà di assegnare nuovamente i diritti Tv sulle partite di calcio.
A noi non resta che goderci lo spettacolo, magari sorseggiando una buona birra inglese…
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