Eppure sul documento e sull’interpretazione delle singole parole il dibattito ferve. Noi cerchiamo, nell’attesa di un documento compiuto sul quale ragionare approfonditamente, di evidenziare le linee guida del renzipensiero sul lavoro e di trarne prime valutazioni. Soffermiamoci alla “parte B e C” del documento, quelle concentrata sullo sviluppo dell’occupazione e la regolamentazione del mercato.
Vengono individuati settori sette di sviluppo che dovrebbero caratterizzare la ripresa italiana e sui quali si concentreranno azioni di politica industriale. Bene, mi sembra un’idea interessante quella di focalizzare l’attenzione su ciò che come Paese possiamo e sappiamo fare meglio. L’elemento più rilevante è però di tipo metodologico, prima di parlare di regole bisogna incentivare lo sviluppo. Senza impresa non c’è lavoro! Un bel segnale.
Veniamo alla regolamentazione del mercato. Qui ritengo manchi una premessa, una precisa fotografia iniziale della situazione e pertanto le indicazioni successive risultano troppo “ampie”. Non si può mettere mano alla regolamentazione del sistema lavoro senza tenere conto di questi elementi:
- il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 addetti ed il datore di lavoro è anche, il più delle volte, proprietario (titolare, socio di maggioranza);
- abbiamo tassi di disoccupazione giovanile spaventosi;
- il contratto individuale che dovrebbe essere il punto di accordo delle parti non ha elementi di particolare utilità per le parti firmatarie ed anzi gli elementi formali sono trappole micidiali;
- i ccnl sono troppi e lasciano spazi ridottissimi ad accordi di secondo livello ed ancor meno a quelli individuali;
- la legislazione in materia è asfissiante, ingarbugliata e spesso contraddittoria e, per di più, appesantita dalla burocrazia.
Veniamo alle idee sulle regole evidenziate nel programma lavoro di Renzi:
- Semplificazione delle norme. Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero.
- Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile. Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Semplificare. Parola chiave e parola pericolosa. Da quando mi occupo, e ormai sono tanti anni, di tematiche lavoristiche non ho mai visto una norma che si ponesse l’obiettivo di complicare il sistema, anzi. Tutte aspiravano a raggiungere le necessarie semplificazioni. Se anni di normative avessero mantenuto le promesse il rapporto di lavoro sarebbe semplice come un bicchiere d’acqua fresca. E invece! Dietro ogni istanza di semplificazione è in agguato il demone della resistenza e della conservazione ed i risultati sono spesso contrari alle prospettive. La burocrazia del lavoro va debellata come la “zizzania” nel campo di grano. Anche l’istanza più nobile (es. tutela del lavoratore contro le dimissioni in bianco il cui meccanismo attuale è un obbrobrio) se si traduce in carte, costi, timbri, comunicazioni, presunzioni e bolli diventa una trappola.
40 forme contrattuali, spezzatino insostenibile? Ecco, qui la penna degli estensori della prima bozza di Jobs Act è mossa dalla voglia del colpo ad effetto basato su chiacchiere da bar. Non esistono 40 tipologie di contratti diversi. Contateli per favore! Andiamo oltre.
Cosa significa “Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”? Il percorso verso il contratto unico? Non direi, infatti l’aggettivo “unico” non si ritrova anche se la formulazione “un contratto” potrebbe lasciare dubbi. Il sistema della pluralità contrattuale va sicuramente rivisto (quante le responsabilità della contrattazione collettiva sul punto), semplificato, ma la chimera del contratto unico (come ogni cosa di unico: pensiero, partito, sindacato ecc..) si potrebbe rilevare come un’impostazione dirigista che non tiene conto delle istanze vere del mercato e le mortifica. Vedremo.
Il sistema del lavoro flessibile senza una rete di protezione sociale universalista rischia di fare “morti e feriti” nei momenti critici e pertanto interessante l’idea dell’” Assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.” Bene dunque la proposta, ma il dubbio è lecito, con quali soldi?
Infine opportuni i richiami del documento sul controllo della spesa pubblica destinata alla formazione e sulla costituzione di un vero sistema di coordinamento tra centri impiego, enti formativi e gestori di forme di welfare.
Ultima nota la legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende. Le parti sociali hanno risposto con un recentissimo ed interessante accordo ma il sistema, ritengo, deve avere un puntello legale visto che il meccanismo dell’art. 39 della Costituzione non è operante.
Vai al testo della prima bozza del Jobs Act di Matteo Renzi
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