Il grottesco distacco/aggregazione dei Comuni di Piazza Armerina, Niscemi e Gela verso la Città metropolitana di Catania

Massimo Greco 31/05/16

La vicenda del distacco/aggregazione dei Comuni di Niscemi, Gela e Piazza Armerina verso la costituenda Città metropolitana di Catania non è solo grottesca per quanto già detto in ordine alle incostituzionali modalità referendarie adottate, ma anche per l’assenza di quei requisiti elementari e necessari che giustificano l’attribuzione ad un territorio del termine geografico “Città metropolitana”. Invero, a parte infatti la vistosa debolezza del concetto di “area metropolitana” attribuito alle tre ex Province di Palermo, Catania e Messina se rapportata agli standard europei, l’idea di pensare ad una Città metropolitana catanese tanto estesa da comprendere anche i transumanti Comuni di Gela, Niscemi e Piazza Armerina è totalmente “sconclusionata”.

La parola “metropoli” deriva infatti dal greco antico μήτηρ (mētēr), che significa madre, e πόλις (polis), città; l’etimologia aiuta a cogliere la matrice eminentemente funzionale del concetto: i coloni greci, infatti, chiamavano “città madre” la città d’origine, con cui mantenevano contatti economici, politici e culturali dopo la fondazione; la μήτηρ-πόλις era, cioè, il “nodo centrale” di una rete relazionale complessa, e manteneva tale ruolo anche dopo che le nuove città (coloniali) erano divenute, a loro volta, “città-madri”, ossia basi di partenza di nuove colonizzazioni. In tale prospettiva di lungo periodo, il significato della parola non sembra esser cambiato poi tanto, visto che ancora oggi con “metropoli” si designa, certo, una vasta area urbanizzata e densamente popolata, ma l’invariante della figura continua ad essere costituita, a ben vedere, da un centro (la città principale), e da una serie di aggregati urbani e di insediamenti produttivi che si relazionano in maniera intensa e permanente con tale centro. Pertanto, l’area (o Città) metropolitana non è altro che l’estensione urbana di un territorio originariamente confinato nel perimetro amministrativo del rispettivo Comune. Pertanto il dato di partenza è rappresentato dal quel territorio cittadino che sente sempre più l’esigenza di inglobare le conurbazioni che lo stesso ha generato nel tempo a seguito di uno sviluppo, spesso incontrollato, delle rispettive periferie.

In tale contesto non si possono escludere ipotesi di assorbimento, ovvero di cooptazione territoriale, di due o più Comuni la cui distanza è stata azzerata dalle citate conurbazioni. Tipici sono gli esempi di Catania con Misterbianco o di Palermo con Villabate. Dunque, dovendo individuare e delimitare un’area metropolitana, occorre accertare prima di tutto se la potenziale Città centrale abbia, o no, funzioni tali da poterne costituire il fulcro, quindi aggregare all’area i Comuni limitrofi in base a criteri scientifici (incremento e densità di popolazione, continuità edilizia, pendolarismo) e infine verificare se il complesso urbano così ottenuto abbia una certa omogeneità geografica e possieda funzioni propriamente metropolitane, nel qual caso meriterà il nome di area metropolitana.

Se questo è il senso del territorio metropolitano appare ictu oculi evidente che Comuni Gela, Niscemi e Piazza Armerina non potranno neppure con la fantasia essere annoverati nella già estesa, ed insensata, Città metropolitana di Catania, non solo perché sono distinti e distanti ma perché i rispettivi territori sono sprovvisti di quei requisiti su indicati che ne giustificano una fisiologica simbiosi territoriale.

Massimo Greco

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