Il Governo Monti alla prova sullo Spending Review

Redazione 22/05/12
Stretto tra un’ondata di antipolitica senza precedenti dai tempi di Tangentopoli ed un clima di sempre più diffuso malessere sociale (testimoniato in modo clamoroso dal picco di “suicidi economici” e da manifestazioni di rivolta fiscale come il recente sequestro di quindici persone all’Agenzia delle Entrate di Bergamo), il Governo Monti ha varato la Spending Review (revisione della spesa), con cui si appresta ad affrontare uno dei nodi storici dell’economia italiana, quello della spesa pubblica. Una spesa che ammonterebbe a circa 800 miliardi di euro annui e che per decenni è stata il comune terreno sul quale i partiti politici hanno giocato in maniera irresponsabile per vincere le campagne elettorali. In tale contesto, si è progressivamente accresciuto l’enorme macigno del debito pubblico, che ha toccato nei giorni scorsi la cifra di 2.000 miliardi di euro e che ora, nell’attuale crisi dei debiti sovrani, rischia di finire fuori controllo.

Obiettivo del Governo è mettere sotto la lente d’ingrandimento la spesa pubblica (il 95% della quale è periferica), passandone in rassegna ad una ad una le singole voci. Impresa colossale, su cui è difficile attendersi miracoli, men che meno nel breve periodo, a meno di non avviare massicce dismissioni del patrimonio dello Stato.

Nel “Rapporto Giarda”, relativo all’operazione di razionalizzazione della spesa pubblica, il Ministro dei Rapporti con il Parlamento ha fin da subito chiarito che l’operazione non dovrà avere carattere di una tantum, ma strutturale, graduale e duraturo nel tempo. Ha suggerito, inoltre, di non operare per mezzo di pochi grandi tagli lineari, bensì di adottare una (meno semplicistica) ottica chirurgica, con mirate riduzioni degli sprechi, suddivise per selezionati capitoli di spesa.

Attualmente, il Governo si è impegnato a recuperare entro la fine dell’anno 4,2 miliardi. Cifra non astronomica, che dovrebbe essere sufficiente a scongiurare l’aumento di due punti percentuali dell’IVA (dal 21% al 23%), previsto a partire dal 1° ottobre 2012 dal decreto “Salva Italia” (6 dicembre 2011, n. 201), con l’inevitabile effetto depressivo sui consumi degli Italiani, già in forte contrazione.

In tal senso vanno anche i moniti del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che recentemente ha sottolineato come un piano di stabilizzazione finanziaria, per apparire credibile nel medio-lungo termine e rassicurare i mercati, non possa fondarsi esclusivamente sull’aumento della tassazione, ma adottare un progetto di riduzione della spesa, a cominciare da quella improduttiva, unitamente ad iniziative per la crescita (“Cresci Italia”).

Il problema non è solo italiano. Tutti i leader d’Europa, con sfumature diverse, si trovano all’ormai celebre bivio tra rigore e sviluppo. E la ricetta giusta (o meno sbagliata) per uscire dalla crisi non può essere trovata che su scala europea.

Certo è che non solo l’Europa ed i mercati, ma anche buona parte dell’opinione pubblica si attende un’operazione di robusta potatura della spesa statale.

Sulla Spending Review, infatti, il Governo tecnico non è ricorso solo alla nuova categoria dei “super-tecnici” (il “triumvirato” nominato lunedì 30 aprile e composto da Amato, Bondi e Giavazzi), ma si è appellato ai cittadini stessi. Sul sito di Palazzo Chigi è stata istituita un’apposita sezione dove è possibile denunciare sprechi, inefficienze e storture della Pubblica Amministrazione. La risposta a questa consultazione on line non si è fatta attendere, con oltre 40.000 segnalazioni ricevute in pochi giorni. Ad un primo monitoraggio, la Spending review ideale del cittadino italiano non giunge di certo con proposte inattese: riduzione dei costi della politica tramite tagli radicali del numero dei parlamentari, delle auto blu, dei finanziamenti pubblici (o rimborsi elettorali che dir si voglia) ai partiti, razionalizzazioni degli Enti locali (ancora una volta le Province tra quelli più bersagliati), ma anche segnalazioni più circostanziate su specifici disservizi.

Come valutare questa iniziativa? È una misura demagogica indice del fatto che, tra le macerie di partiti indeboliti e travolti dagli scandali, anche un Governo tecnico diviene sensibile alle sirene dell’antipolitica? O è un’operazione di trasparenza propria di chi, alla ricerca di validi suggerimenti, accetta di mettersi in discussione e, sulla base di un modello più nordico che mediterraneo, cerca di cointeressare la cittadinanza al buon funzionamento della res publica? Probabilmente in ognuna delle ipotesi c’è una parte di verità. Quel che pare di vedere è che, sulla revisione della spesa e sulla riduzione dei costi della politica (da cui dovrebbe nascere, conseguentemente, anche un nuovo modo di fare politica), il Governo dei tecnici gioca una duplice partita: affermare la propria credibilità agli occhi dei cittadini e, da ultimo, scongiurare un definitivo, fatale corto circuito tra politica e pubblica opinione.

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