Gli esiti, in un primo tempo altalenanti, sono andati via via consolidandosi, nel senso della piena risarcibilità, con un orientamento attento però nella valutazione dell’elemento soggettivo della colpa.
Proprio di questi giorni è una importante pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28 febbraio 2011 n. 1271).
Nella fattispecie all’attenzione del Collegio il ritardo procedimentale si è appunto risolto in un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante.
La tesi della risarcibilità del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) trova sostegno nell’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, il quale conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma, evidentemente, muove dal presupposto che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.
Addirittura, secondo qualche pronuncia (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368) il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo.
Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato nella sentenza sopra richiamata invece la soluzione era di più facile momento, non rilevando la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio del permesso di costruire in variante
La questione interpretativa generale può quindi dirsi pervenuta ad una sua definizione, residuando quindi di volta in volta, nell’ambito dei singoli giudizi, il problema della individuazione degli elementi probatori in ordine all’esistenza del danno e al rapporto di causalità con il menzionato ritardo.
Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o di mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta infatti al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti.
Ove anche possa ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, resta comunque l’obbligo del ricorrente di allegare circostanze di fatto precise, non potendo l’inadempimento dell’onere della prova da parte del ricorrente essere surrogato nè dalla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., nè dalla consulenza tecnica d’ufficio, (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261).
La stessa richiamata giurisprudenza ha anche precisato che l’onere probatorio può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la condivisibilità attraverso l’apporto tecnico del consulente o, comunque, quando il ricorrente fornisca un principio di prova della sussistenza e quantificazione del danno.
Da segnalare sulle questioni in esame anche un recente arresto del Tar della Toscana (sentenza n. 341 del 2011).
Giampiero Lo Presti
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