Il Decreto Sviluppo cambia la legge Pinto: freno alle richieste di risarcimento

Redazione 27/06/12
Le modifiche alla Legge Pinto, apportate dal decreto sviluppo pubblicato ieri in Gazzetta, pongono un freno alle richieste di risarcimento che approdano numerose sul tavolo dei magistrati.

Le novità in materia ridefiniscono l’intero procedimento, rendendolo più simile a quello previsto per il decreto ingiuntivo, prevedono sanzioni da irrogare per le richieste più pretestuose, comportano l’esclusione delle parti colpevoli di aver assunto condotte dilatorie e infine determinano dei termini rigidi per la presentazione delle domande.

Un’importante innovazione che dovrebbe adeguare il sistema giudiziario italiano agli standard europei. Ci si aspetta risultati importanti, sia sul piano di una migliore destinazione delle risorse, al fine di alleggerire di gran lunga il lavoro delle Corti di appello, sia su quello prettamente economico, se si tiene in considerazione l’eccessivo costo che la legge Pinto ha avuto sulle casse dello Stato.

Ciò che rileva da tale novità è senz’altro la maggiore attenzione che adesso andrà prestata ogni volta che una parte sia interessata ad ottenere un risarcimento.

Non dovranno essere trascorsi più di 60 giorni dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento contestato sia diventata definitiva.

Una particolare attenzione verrà riservata alla durata del procedimento: esso infatti non potrà durare più di 6 anni, con 3 anni per il primo grado, 2 per l’appello e 1 per la Cassazione.

Al di sotto di queste soglie nessuna richiesta verrà passata al vaglio, invece, al di sopra, andrà verificata dalla Corte d’appello la consistenza del ritardo: per ogni anno di sforamento, oppure per frazioni di anno superiori a sei mesi, del limite del grado di giudizio il risarcimento potrà essere compreso tra un minimo di 500 euro e un massimo di 1.500.

E’ possibile determinare un ammontare superiore, purché non superi il valore della causa.

In questo passaggio è rilevante tenere in alta considerazione e la condotta del giudice e soprattutto quella delle parti. Queste ultime devono tenere un comportamento idoneo, cioè devono astenersi dal tenere qualsiasi comportamento volto ad esempio ad utilizzare poteri processuali legittimi in una funzione meramente dilatoria e di allungamento dei tempi della decisione. In tali casi nessun risarcimento potrà essere concesso!

Oggi la situazione è invece del tutto diversa: un giudizio che deve decidere sulla fondatezza del ricorso e sulla liquidazione degli importi si svolge davanti alla Corte d’appello in composizione collegiale, con instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’amministrazione responsabile e svolgimento attraverso una pluralità di udienze.

Invece, la creazione di un procedimento così come descritto permetterà uno svolgimento diverso che prende avvio con la parte che presenta ricorso al presidente della Corte d’appello competente, quest’ultimo che designa un giudice competente alla trattazione della causa che, a sua volta, deciderà con decreto sulla base dei documenti presentati dalla parte. Il decreto poi potrà essere oggetto di impugnazione in tempi stretti.

Si salvaguarderebbe in questo modo la possibilità di una tutela giurisdizionale rafforzata, visto che sull’impugnazione deciderà, ma solo a quel punto, la Corte d’appello in versione collegiale.

 

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