L’abuso del diritto da parte della P.A. nel processo amministrativo

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza del 2 marzo 2012 n. 1209 è di nuovo tornato sulla questione dell’abuso del diritto, già affrontata nella recente pronuncia in adunanza plenaria n. 3 del 23 marzo 2011 laddove aveva affrontato il rilevante tema della “pregiudizialità amministrativa”.

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha infatti ribadito la vigenza, nel nostro sistema, del generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, il quale, ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c., permea le condotte sostanziali al pari dei comportamenti processuali di esercizio del diritto.

È stato in tal senso precisato che il divieto di abuso del diritto si applica anche in chiave processuale, cosicché il divieto di abuso del diritto diviene anche divieto di abuso del processo, inteso quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa.

Per contro nel caso oggetto della sentenza la condotta dell’Amministrazione non è stata conforme a correttezza e buona fede, con la conclusione che la pretesa che essa deduce in questa sede non è meritevole di tutela.

Più nel dettaglio è avvenuto che un signore ha partecipato ad un concorso indetto dalla Guardia di Finanza per il reclutamento di 952 allievi finanzieri. Superate le prove scritte, è stato giudicato non idoneo alla prova relativa alle capacità psico-attitudinali. Ha pertanto proposto ricorso dinanzi al Giudice Amministrativo, con connessa richiesta cautelare, per veder accertata l’illegittimità di quella valutazione.

La domanda di sospensione del relativo provvedimento è stata accolta dal T.A.R. Lazio, con ordinanza che ha sospeso il giudizio impugnato ai fini della sua reiterazione. L’Amministrazione ha interposto appello cautelare contro tale ordinanza che però è stato respinto dal Consiglio di Stato.

Nel frattempo il signore, senza essere sottoposto a nuova valutazione (così come invece aveva prescritto il Tribunale regionale) veniva ammesso con riserva al corso e proseguiva l’iter concorsuale; di seguito, superati gli esami conclusivi, il signore ha prestato giuramento ed è stato immesso in ruolo.

Con sentenza, il T.A.R. Lazio, è entrata nel merito ed ha pertanto accolto l’originario ricorso proposto dal signore nei confronti dell’esclusione dal concorso per il reclutamento di 952 allievi della Guardia di Finanza e della relativa graduatoria finale, dichiarando cessata la materia del contendere relativamente al primo profilo e, quanto al secondo, annullando la graduatoria stessa nei limiti dell’interesse del ricorrente.

L’Amministrazione ha interposto appello avverso detta sentenza, formulando al contempo istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza.

L’Amministrazione si duole della sentenza di primo grado, che sarebbe affetta da error in iudicando circa la cessazione della materia del contendere; nel merito, la competente Commissione avrebbe motivato correttamente in ordine al deficit attitudinale del candidato, cosicché l’esclusione di questi dalla procedura di reclutamento sarebbe legittima.

Eppure, il Consiglio di Stato ha correttamente rilevato che l’Amministrazione, disattendendo la ricordata ordinanza del T.A.R. Lazio, non ha provveduto a reiterare l’accertamento attitudinale del signore. Senza necessità di proporre e coltivare l’appello, a salvaguardia delle proprie ragioni essa avrebbe avuto a disposizione lo strumento – rapido, economico e dovuto, nei termini di cui si è detto sopra – della rinnovazione del giudizio. Non avendo fatto questo l’Amministrazione ha posto in essere un comportamento contraddittorio che finisce per violare il divieto generale di venire contra factum proprium.

Di qui, il rigetto dell’appello alla stregua del riferito principio generale del divieto di abusare di posizioni soggettive di buona fede e correttezza anche nella sede processuale.

Stefano Bertuzzi

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