Secondo i Giudici di legittimità, in particolare, l’obolo che ogni anno ammonta ad una cifra che oscilla tra gli otto ed i dieci milioni di euro e che quanti intendono distribuire, in Italia, opere protette da diritto d’autore devono riconoscere alla SIAE, sarebbe una tassa di scopo, incassata dall’ente, non nell’interesse di chi la paga ma della collettività.
La disciplina vigente, infatti, secondo la Cassazione individuerebbe in tali importi uno strumento di finanziamento dell’attività di antipirateria, attività nell’ambito della quale al contrassegno sarebbe, appunto, affidato il ruolo di garantire al consumatore la riconoscibilità del prodotto originale.
Uno strumento, giova ricordarlo, ritenuto utile allo scopo, oltre che nel nostro Paese solo in Portogallo e Romania.
A prescindere da ogni considerazione sull’utilità ed opportunità di appesantire l’economia di un mercato – quello dell’editoria cartacea e multimediale – in crisi con una tassa da dieci milioni di euro l’anno, la recente pronuncia della Cassazione, restituisce vigore ed attualità ai dubbi ed alle perplessità già sollevati, in passato, circa la legittimità dell’attuale disciplina sull’obbligo di apposizione del contrassegno.
L’attuale disciplina e, in particolare, il nuovo Regolamento relativo all’obbligo ed alle modalità di apposizione del contrassegno SIAE, infatti, forma, attualmente, oggetto di un giudizio pendente dinanzi al TAR Lazio, nell’ambito del quale, peraltro, si contesta proprio la circostanza che attraverso tale provvedimento di natura regolamentare, si sarebbe, in realtà, surrettiziamente introdotto nel nostro Ordinamento un “balzello” in aperta violazione del principio della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione.
Difficile, alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione, dubitare di tale circostanza: il contrassegno costituisce una tassa di scopo ed essa è inequivocabilmente introdotta nell’ordinamento attraverso una norma di rango secondario, mentre la norma primaria – l’art. 181 bis – si limita a prevedere che “Le spese e gli oneri, anche per il controllo, sono a carico dei richiedenti e la loro misura, in assenza di accordo tra la SIAE e le categorie interessate, è determinata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il comitato consultivo permanente per il diritto di autore”.
Davvero troppo poco per rintracciare nell’art. 181 bis il presupposto impositivo della tassa di scopo di cui stiamo parlando.
Forse, nei prossimi mesi, i Giudici amministrativi potrebbero, finalmente, liberare il nostro Paese di uno dei tanti inutili italici balzelli che non fa che arricchire i soliti noti, senza produrre alcuna concreta utilità per il mercato né per i consumatori che, in ultima analisi, si vedono spesso costretti a sopportarne i costi.
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