La questione dedotta, al di là della specificità del ricorso, pone il proprio ambito di applicazione in una zona intermedia tra il diritto penale, l’attività di prevenzione connessa alla gestione della Pubblica Sicurezza, e l’ambito prettamente amministrativo, per espressa competenza giurisdizionale.
In tale quadro complessivo emergono profili di responsabilità oggettiva che, come si dirà di seguito, si manifestano in misure ingiustamente afflittive per i commercianti.
La vicenda
Il titolare di un locale dell’hinterland milanese impugna il provvedimento di sospensione della licenza per trenta giorni, emesso dal Questore ai sensi dell’art. 100 del T.U.L.P.S., in quanto il locale in questione, nell’arco di tempo di due anni:
a – è stato teatro di una rissa
b – da controlli reiterati è risultato essere abitualmente frequentato da pregiudicati
c – un cittadino extracomunitario è stato sorpreso in flagranza di spaccio di stupefacenti.
La sentenza
Al di là di specifici aspetti impugnativi che per la loro soggettività non destano interesse per l’interprete, il TAR lombardo afferma che la misura è puramente preventiva e discrezionale e l’adozione è legittima laddove all’interno del locale si crei una situazione di allarme sociale a causa dei frequentatori abituali.
E questo poiché la frequentazione ambientale è fonte di pericolo “concreto ed attuale” per la collettività.
Il corollario interpretativo del TAR Lombardia si esprime nel comprensibile assunto in base al quale la sospensione della licenza, frutto di una riconosciuta ampia discrezionalità in capo al Questore, risponde ad un duplice ordine di obiettivi:
– da un lato privare i pregiudicati di un abituale punto di aggregazione,
– dall’altro quello di manifestare “lippis et tonsoribus” che il locale è sotto la stessa attenzione delle Forze dell’Ordine.
Il tutto, al di là della responsabilità dell’esercente.
Una critica
E’ fuor di discussione il valore emblematico della “serrata” di un pubblico esercizio, soprattutto ove si ponga mente all’impatto visivo della “mestizia” di una insegna spenta in forza di un provvedimento timbrato ed affisso su una porta chiusa di un locale deserto. Tuttavia, si pone il problema del rapporto tra questa forma di garanzia dell’ordine pubblico e la tutela del diritto soggettivo del titolare non connivente.
Sul piano del bilanciamento degli interessi contrapposti è doveroso soffermarsi tra la concreta afflittività patita dall’incolpevole gestore, ed il valore “emblematico” di fronte alla pubblica opinione, posto che, mentre i “frequentatori abituali” possono semplicemente spostare i loro “pregiudizi” in altro locale, “l’incolpevole gestore” rischia di essere il solo a patire un concreto danno economico.
D’altronde, è altresì vero che sono proprio gli “incolpevoli gestori” i primi a patire e subire la presenza di sgraditi frequentatori. Né può richiedersi al pubblico esercente di allontanare dal proprio locale un soggetto perché gravato di precedenti penale, giudiziali o di polizia!
In un quadro così composito, campeggia anche la diffusa perplessità relativamente all’applicazione in capo al gestore di un onerosissimo principio di responsabilità oggettiva.
Altro dato che desta particolare allarme per l’ interprete è quello della ampia discrezionalità riconosciuta al Questore, in punto di applicazione dell’art. 100 T.U.L.P.S.
Questo aspetto genera rilevantissime perplessità, e certamente non per prevenuta sfiducia nei confronti degli organi che istruiscono ed emettono tali provvedimenti.
Il primo aspetto di problematicità è legato al rapporto tra i parametri valutativi che sottengono l’adozione e la quantificazione della sospensione della licenza ed il danno economico in concreto arrecato al terzo extraneus, titolare della licenza.
Il secondo, e forse più rilevante problema è connesso a modi e forme di impugnabilità, da parte dell’unico legittimato, ovvero il commerciante incolpevole e non connivente.
Infatti, a parere di chi scrive, la competente sede amministrativa non pare la più idonea a garantire la piena tutela di istanze strettamente soggettive.
In altre parole, l’incolpevole commerciante, attinto da responsabilità oggettiva, dovendo necessariamente accedere al Tribunale Amministrativo per mezzo di onerosissime sospensive, si vede legittimamente contrapporre uno spatium deliberandi e dei parametri valutativi che fisiologicamente sono pregiudizialmente sbilanciati verso gli interessi legittimi di carattere generale, piuttosto che sul proprio particulare.
Infatti, il provvedimento impugnato, pur se lodevolmente dotato di valenza “pubblica” di preventiva tutela, esprime in concreto una sanzione soggettivizzata verso il gestore “terzo” e, per di più, si concretizza tangibilmente come gravemente afflittiva sul piano economico.
Unico modo per superare tale iniquità e consentire ai Questori una serena e codificata prassi applicativa su criteri “condivisi” sarebbe una espressa modifica dell’art. 100 del T.U.L.P.S., con la indicazione di specifiche ed espresse circostanze di applicazione, unitamente ai parametri della quantificazione delle sospensioni.
In tale maniera il provvedimento sarebbe ancor più efficace in punto di prevenzione, consentendo al gestore una espressa modalità di intervento preventivo nella propria clientela.
Nello stesso tempo, una più esplicita formulazione normativa offrirebbe anche al giudice amministrativo lo spazio per una valutazione impugnativa delle esigenze del singolo.
In questo modo verrebbe definitivamente allontanata la fastidiosa alea di casualità che allo stato grava sulla adozione di questi provvedimenti.
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