I sindaci non possono vietare l’elemosina, nè confiscarla

Redazione 14/04/11
L’associazione onlus “Razzismo Stop” ha proposto ricorso al TAR Veneto contro il Comune di Selvazzano Dentro (provincia di Padova).

Ha impugnato un provvedimento sindacale che ha vietato l’accattonaggio (anche in forme non ‘invasive o moleste’) in vaste zone del territorio comunale, prevedendo, per i trasgressori, una sanzione amministrativa pecuniaria, oltre alla confisca del denaro versato.

Secondo i ricorrenti il provvedimento sarebbe stato adottato in violazione del principio di proporzionalità, perchè non risulterebbe allegato e documentato alcun grave pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana; non sussisterebbero inoltre, nel caso concreto, le necessarie condizioni di contingibilità e urgenza. L’atto impugnato sarebbe illegittimo anche in forza della sua efficacia a tempo indeterminato, incompatibile, appunto, con i limiti propri delle ordinanze contingibili e urgenti.

La previsione della confisca del denaro versato in violazione del divieto, a titolo di sanzione accessoria, avrebbe derogato inoltre alle norme del codice civile in materia di donazione ed ai criteri di proporzionalità e pari trattamento.

E’ venuta in questione la legittimità costituzionale della norma introdotta dal “pacchetto sicurezza” del Governo, in particolare dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito dalla legge 24 luglio 2008 n. 125, nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a «contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato», al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza.

Si osserva, nell’ordinanza di rimessione del TAR Veneto, che “nel caso di provvedimenti amministrativi a contenuto normativo non sarebbe consentita alcuna funzione innovativa del diritto oggettivo, ma solo una funzione di deroga, in via eccezionale e provvisoria, alle norme ordinarie. La disposizione censurata, invece, avrebbe disegnato una vera e propria fonte normativa, libera nel contenuto ed equiparata alla legge, così violando tutte le regole costituzionali che riservano alle assemblee legislative il compito di emanare atti aventi forza e valore di legge

Inoltre, “La norma censurata consentirebbe invece veri e propri atti di normazione a carattere generale, come documentato dallo stesso caso di specie (ove è stato introdotto a tempo indeterminato, mediante ordinanza sindacale, un divieto di donazione). La legge non delimiterebbe, in particolare, né l’oggetto né i margini discrezionali della potestà conferita al sindaco, una volta reciso il legame con i presupposti fattuali della contingibilità ed urgenza, ed una volta stabilito quale unico limite contenutistico la necessaria osservanza dei principi generali dell’ordinamento”

La Consulta, con decisione depositata il 7 aprile, ha ritenuto fondate le questioni sollevate dall’associazione ricorrente, osservando in particolare:

1. Sul principio di legalità

“Questa Corte ha affermato, in più occasioni, l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto.

Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982).

Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”.

2. Sul principio di eguaglianza

“Non si tratta, in tali casi, di adattamenti o modulazioni di precetti legislativi generali in vista di concrete situazioni locali, ma di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato.

Tale disparità di trattamento, se manca un punto di riferimento normativo per valutarne la ragionevolezza, integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria.

Un giudizio sul rispetto del principio generale di eguaglianza non è possibile se le eventuali differenti discipline di comportamenti, uguali o assimilabili, dei cittadini, contenute nelle più disparate ordinanze sindacali, non siano valutabili alla luce di un comune parametro legislativo, che ponga le regole ed alla cui stregua si possa verificare se le diversità di trattamento giuridico siano giustificate dalla eterogeneità delle situazioni locali” (presidente Ugo De Siervo, redattore Gaetano Silvestri).

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