I silenzi delle PA e l’azione di risarcimento del danno

I giudici di Palazzo Spada, con la sentenza n. 1739 del 2011, hanno ritenuto di poter applicare la disciplina prevista dall’art. 117, comma 6 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 anche ad un giudizio pendente al momento dell’entrata in vigore della novella normativa.

Il citato art. 117 prevede che se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

Secondo i giudici della sezione quinta del Consiglio di Stato tale norma, parzialmente innovativa nella parte in cui non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, assume per il resto natura interpretativa in quanto si limiterebbe a codificare un orientamento favorevole all’ammissibilità del cumulo di domande già presente prima dell’entrata in vigore del codice.

Va detto (ma lo fanno gli stessi giudici con la citata sentenza) che un orientamento restrittivo tradizionalmente negava l’ammissibilità del cumulo di domande, specie se assoggettate a diversi riti (come nel caso di azione avverso il silenzio e domanda di risarcimento del danno).

Così ad esempio, con la sentenza n. 1873/08, il Consiglio di Stato stabiliva che con il rito di cui all’art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971 può unicamente essere impugnato il silenzio serbato dall’amministrazione su una istanza, ma non si può formulare alcuna ulteriore domanda (e, in particolare, quella volta al risarcimento del danno) poiché, in ragione della natura del rito, non possono essere esaminati gli indefettibili elementi costitutivi dell’illecito (quello oggettivo, l’antigiuridicità e la colpevolezza).

Qualche apertura sul tema si riscontrava sotto il diverso (ma analogo per i profili che qui interessano) problema dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria proposta in sede di ottemperanza; ammissibilità solitamente negata in base all’affermata necessità di una cognizione piena almeno sull’an della pretesa risarcitoria.

Valorizzando un ragionamento del Tar Campania (Tar Campania – Napoli, Sez. I, Sentenza n 4 ottobre 2001, n. 4485) i giudici di Palazzo Spada, con la sentenza n. 3332/02, hanno infatti ritenuto possibile procedere ad una rivalutazione della questione dell’ammissibilità del ricorso cumulativo contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria (ma solo se proposta in primo grado in quanto il rispetto del principio del doppio grado di giudizio non consentirebbe l’esame di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio).

Il Consiglio di Stato riteneva però necessaria, in applicazione del principio di conservazione e conversione degli atti processuali, la sussistenza dei presupposti di contenuto e forma per un’ordinaria azione cognitoria, quale quella risarcitoria (nel senso di verificare il rispetto, per entrambe le domande, nella forma e nella sostanza, delle disposizioni processuali di riferimento), con conseguente conversione del rito.

Ed è proprio questo quell’orientamento che i giudici di Palazzo Spada hanno visto codificato in quell’art. 117, comma 6 del codice del processo amministrativo che disciplina appunto il controverso caso in cui il cumulo riguardi l’azione risarcitoria e quella avverso il silenzio della P.A.

Si tratta di un’applicazione concreta di un principio più generale affermato dallo stesso codice con l’art. 32 laddove, facendo ormai cadere ogni dubbio sull’ammissibilità del cumulo, si dispone che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, con l’ulteriore precisazione secondo la quale, qualora il cumulo riguardi azioni soggette a riti diversi, si applica il rito ordinario (salvo i casi in cui debba applicarsi il rito abbreviato).

Salvatore Mattia

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