L’art.67 della Costituzione sancisce che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato, sorgendo la rappresentanza politica ope legis e non già per una volontà manifestata dagli elettori, i quali non attribuiscono alcun mandato agli eletti. Attraverso l’elezione gli eletti non diventano titolari di un organo del popolo ma di un organo dello Stato; l’ordinamento giuridico si avvale della rappresentanza politica come mezzo democratico per la costituzione di organi elettivi come il Parlamento. L’elezione è, quindi, un mezzo tecnico per la scelta dei titolari delle funzioni legislative,i quali ben possono qualificarsi come funzionari-onorari in <rapporto di servizio> con lo Stato. Del resto la dottrina amministrativistica colloca i consiglieri comunali tra i funzionari-onorari soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti e non si vede perché tali non possano essere qualificati anche i parlamentari.
Non solo, ma anche i consiglieri regionali, che sono legislatori di pari rango, sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale.
Come riportato su questo stesso quotidiano on line da Dario Di Maria il 5 aprile scorso, la Corte dei Conti siciliana ha condannato per danno erariale la Giunta Cuffaro e i consiglieri regionali siciliani della VI Commissione legislativa dell’Assemblea regionale riguardo il servizio 118, per un importo complessivo di euro 11.882,861,96 sia pure con la motivazione espressa dalla Corte Costituzionale per cui, nella particolare vicenda del servizio siciliano del “118”, “l’attività svolta dalla Commissione consiliare è consistita in un concorso all’azione provvedimentale dell’esecutivo regionale. (…) l’assunzione, da parte dell’Assemblea, di una funzione consultiva, prevista dalla legislazione regionale, ha avuto per effetto di coinvolgere la competente Commissione nel procedimento amministrativo finalizzato alla gestione di un servizio pubblico, e conseguentemente è soggetta alla giurisdizione contabile”.
L’obiezione principale al nostro ragionamento, che vuole estendere la responsabilità erariale dei parlamentari per la loro stessa funzione, è data dall’art.68 della Costituzione in base al quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, analogamente al disposto dell’art. 6 dello Statuto speciale della Regione SICILIA che stabilisce «i deputati non sono sindacabili per i voti dati nell’Assemblea regionale e per le opinioni espresse nell’esercizio della loro funzione».
Senonché, a nostro modesto parere, questa <irresponsabilità> è funzionalmente collegata all’esercizio in positivo delle funzioni, non essendo, invece, l’esercizio in negativo, e cioé l’assenza dai lavori dell’assemblea per inosservanza di quel grado minimo di diligenza richiesto a ciascuno nell’esplicazione delle attività umane, oggetto di protezione della norma costituzionale; sicché il comportamento negligente può, a nostro avviso, diventare sindacabile da parte della Corte dei Conti in sede di responsabilità amministrativa per danno erariale.
L’indagine della delimitazione della sfera di azione della responsabilità amministrativa a carico dei membri del Parlamento appare più problematica allorchè si cerca di scorgere il nesso di causalità tra il danno prodotto allo Stato e la colpa dell’autore dell’evento dannoso.
Non sembra potersi seriamente mettere in dubbio che tale nesso difetti per i parlamentari dell’opposizione per la ragione che, in un sistema democratico, la bocciatura di un provvedimento del Governo risponde agli interessi politici e, più in generale, alla concezione del bene pubblico che l’opposizione parlamentare ha.
Il problema si pone, invece, per i parlamentari della maggioranza di governo (ad esempio del Governo Letta i cui ministri prima ancora del primo Consiglio dei ministri operativo hanno cominciato a dissentire l’uno dall’altro, prefigurando questa circostanza negativa anche anomale maggioranze c.d. variabili ) i quali, con l’adesione obbligatoria ai rispettivi gruppi parlamentari, possono rendersi responsabili di danno allo Stato quando, con il loro comportamento omissivo negligente, vanificano l’azione del Governo (giuridicamente sorretta, in costanza di fiducia delle Camere, dalla attività dei gruppi parlamentari) alla cui stregua è da valutarsi se un determinato fatto è o meno produttivo di danno allo Stato.
Gli estremi della responsabilità amministrativa possono profilarsi, ad esempio, in capo ai parlamentari della maggioranza politica nei casi di bocciatura di norme tributarie, dovuta a assenze ingiustificate, in grado di provocare danno allo Stato per mancati introiti fiscali. Ancor più grave sarebbe l’evento di maggioranze variabili con indiscutibili danni erariali da valutare alla stregua dell’azione politica di Governo come votata in Parlamento col voto di fiducia.
Di queste cose deve occuparsi la Corte dei Conti come organo giurisdizionale in materia di contabilità e finanza pubblica ai sensi dell’art. 103 della Costituzione e non di fare le pulci agli atti legislativi del Governo regolarmente votati in Parlamento!
La Corte dei Conti, come riferisce il sito di RAINEWS 24 dell’8.5.2013, ha bocciato <gli ultimi atti del governo tecnico, dal decreto sviluppo alla legge di stabilità. Sulle coperture evidenzia l’”impiego in modo improprio di fondi tesoreria” e l’utilizzazione di proventi di giochi e accise dal gettito “non affidabile”. La legge di stabilità poi “non realizza la manovra”. Il decreto sviluppo, varato nell’ultimo trimestre del 2012 dal governo tecnico, è “un provvedimento disorganico” che “reca i più disparati interventi”. La Corte dei Conti critica le ultime misure assunte dal governo tecnico nella Relazione sulle coperture delle leggi di spesa nell’ultimo quadrimestre del 2012. Non funzionano neanche le norme di carattere fiscale che “risultano prive di clausole di salvaguardia per fronteggiare il minor gettito rispetto alle stime”>.
E il Sole 24 Ore dell’8 maggio scrive <In particolare, sul decreto sviluppo la Corte rileva che costituisce «un provvedimento disorganico, che reca i più disparati interventi; molti emendamenti approvati in sede parlamentare sono privi di relazione tecnica o registrano un visto negativo. Le norme di carattere fiscale non recano tetti massimi alle minori entrate da esse generate e risultano prive di clausole di salvaguardia (per fronteggiare un minor gettito più marcato rispetto alle stime); generalmente, nelle relative valutazioni di impatto, si trascura di considerare l’effetto della singola agevolazione sugli andamenti di settori correlati». Quanto alla legge di stabilità, la magistratura contabile riscontra, sul piano ordinamentale, che la legge «viene svuotata della sua componente fondamentale: essa non realizza la “manovra”, collocata o anticipata com’è nei decreti-legge, ma finisce con lo svolgere o un ruolo attuativo di decisioni già prese o meramente distributivo di risorse raccolte. Inoltre essa risulta calibrata essenzialmente sul primo anno, senza un respiro pluriennale; l’estrema eterogeneità dei suoi contenuti (articolati in 561 commi di un unico articolo) non si pone in linea con le prescrizioni della legge di contabilità, che ne prevede un contenuto snello e di manovra».
NON è UNA SUA FUNZIONE COSTITUZIONALE, dovendo invece, ai sensi dell’art. 100 della Costituzione, limitarsi ad esercitare, quale organo tecnico ausiliario, il controllo preventivo di legittimità sugli atti amministrativi del Governo, e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, riferendo alle Camere sul risultato del riscontro eseguito, senza fare apprezzamenti sulla bontà o criticità delle leggi approvate! Altrimenti diventa un organo politico di opposizione!
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