Nel mercato attuale non solo le multinazionali ma anche le piccole e medie imprese ambiscono ad un’internazionalizzazione dei loro traffici commerciali. Per tale ragione vi è l’esigenza a livello globale di utilizzare dei modelli contrattuali comuni in grado di circolare con facilità nei diversi ordinamenti del mondo.
Tali contratti generalmente derivano dai sistemi di Common Law, anche per ragioni linguistiche ed è quindi importante che il giurista italiano conosca gli schemi e gli usi di questa diversa realtà giuridica i quali stanno contaminando sempre di più la nostra realtà economico-giuridica.
Per raggiungere tale obiettivo si è scelto di seguire gli studi avviati da Giorgio De Nova su una nuova categoria contrattuale: quella dei contratti c.d. alieni.
Perché alieni?
Come sottolinea l’Autore l’aggettivo “alieno” può derivare dal latino “alius” (altro) o dall’inglese “alien” (alieno) e serve ad indicare tutti quei contratti che non appartengono al Civil Law ma provengono da un altro mondo, ovvero il mondo delle grandi law firms americane.
Esempi emblematici di contratti alieni sono: il Sale & Purchase Agreement, il Non-Competition Agreement, il Sale of the Company solo per citare alcuni dei modelli contrattuali di maggiore rilevanza affermatisi nella prassi commerciale italiana.
Il problema principale di tali contratti è che sono scritti secondo le categorie giuridiche anglo-americane ma ad essi le parti scelgono di applicare il diritto italiano. Dal momento che poi vengono direttamente importati in Italia senza esser sottoposti al controllo del giurista interno (tanto è vero che sono scritti in lingua inglese e il più delle volte non sono neanche tradotti in italiano), emergono diverse clausole che pongono problemi di compatibilità con la nostra Legge.
La clausola più problematica è la Merger clause o Entire Agreement clause presente alla fine di tutti i contratti del Common Law con la quale le parti stabiliscono che l’unica legge che dovrà regolare i loro rapporti è quella contrattuale; di conseguenza, è vero che le parti nella clausola sull’applicable law statuiscono che “the law which governs this agreement is the law of the Republic of Italy”, ma in realtà la legge italiana nella loro intenzione andrà applicata solo in via di extrema ratio. Si aggiunga a ciò che i contratti alieni sono scritti secondo criteri redazionali che garantiscono completezza e precisone, come avviene tipicamente, appunto, nei sistemi di Common Law.
Da tali caratteristiche si può dedurre che i contratti alieni sono contratti che pretendono di essere autosufficienti ovvero nella reale intenzione delle parti tali contratti non dovrebbero essere mai integrati dalle legge italiana (nonostante la clausola sull’applicable law) ma al contrario dovrebbero prevalere su di essa.
Ciò si spiega in virtù del fatto che le imprese attive a livello internazionale hanno la necessità di confrontarsi con un’unica legge e cercano di ottenere tale obiettivo mediante la disciplina contrattuale. Dovendo tali contratti circolare in tutto il mondo, la completezza del contenuto dovrebbe garantire uniformità applicativa in tutti gli Stati evitando interventi del giudice nazionale potenzialmente distorsivi.
Naturalmente ciò non sempre accade, perché, in particolare negli ordinamenti di Civil Law, il contratto non riesce a prevalere sulla legge; tuttavia le imprese pur consapevoli delle eventuali e sporadiche integrazioni delle leggi nazionali, le considerano come un rischio legale calcolato.
Premesso ciò, iniziamo con l’analisi pratica di alcuni di questi contratti per evidenziarne le caratteristiche e le relative criticità.
Il Sale & Purchase Agreement (SPA) è un contratto di cessione di partecipazioni di controllo di una società per azioni per il quale non esiste un modello tipico nel nostro ordinamento e per tale ragione si è potuto affermare nella prassi un simile contratto atipico.
In genere vi è un venditore (seller) che cede una quota di controllo di una società per azioni (target) all’acquirente (buyer).
Si tratta di contratto che è penetrato inizialmente nel nostro ordinamento per operazioni di grande rilevanza economica e che si sta diffondendo sempre maggiormente per le cessioni di piccole società attive a livello internazionale.
Ad esempio per la cessione dell’A.C. Milan per circa quattrocentottanta milioni di euro a Bee Taechaubol gli studi legali delle parti hanno seguito esattamente tale schema contrattuale.
Essendo assente una disciplina legislativa ad hoc, l’ampia libertà lasciata ai privati consente oggi di parlare di una serie di clausole standard che si sono consolidate nella prassi e che risultano innovative per il nostro ordinamento.
Partiamo con l’esaminare lo schema del Sale & Purchase Agreement: come ogni compravendita conclusa secondo gli schemi del Common Law, il SPA si compone di un Agreement ed un Closing. Con il primo, vengono definite tutte le clausole contrattuali e viene fissata la Closing date, con il secondo, viene effettuato il trasferimento della titolarità delle azioni, il pagamento del prezzo e lo scambio dei documenti.
Si tratta di uno schema contrattuale sconosciuto al nostro ordinamento e che può essere confrontato solo col contratto preliminare.
Tuttavia, mentre col preliminare una parte si obbliga a stipulare un contratto in un momento successivo, con il SPA il contratto (agreement), è già concluso anche se non trasferisce immediatamente la proprietà delle azioni.
Nel common law, infatti, non vige il principio dell’efficacia traslativa del consenso per cui il trasferimento della proprietà avverrà alla closing date fissata dalle parti nell’agreement ovvero al momento del pagamento del prezzo: di regola, il closing è stabilito alcuni mesi dopo rispetto alla conclusione del contratto e consiste in una serie di attività esecutive che perfezionano l’accordo.
Inoltre, nell’attesa del closing, il contratto stabilisce in un apposito paragrafo (Interim Management) gli obblighi delle parti durante l’interim period (l’intervallo di tempo tra la sottoscrizione del SPA e la closing date). L’interim management è molto importante, perché la target è un bene dinamico e durante l’interim period è soggetta a mutamenti tali da modificare gli interessi delle parti.
Per evitare ciò, il buyer ha interesse ad obbligare la target: in genere le parti (mediante l’istituto della promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo) stabiliscono che il seller si obblighi a che la target tenga “un normale e ordinario corso degli affari rispetto al passato”.
È importante che le parti disciplinino in maniera dettagliata le reciproche obbligazioni durante l’interim period, perché è una figura estranea al nostro ordinamento. In Italia, una volta concluso il contratto, i diritti e i connessi rischi passano in capo all’acquirente.
L’interim period è, inoltre, funzionale alla dilazione del pagamento dal momento che il SPA è utilizzato per compiere operazioni di grossa rilevanza economica.
Il contratto presenta ulteriori profili non previsti dal nostro ordinamento.
In primo luogo, contiene i Recitals, che sono premesse contrattuali in cui le parti forniscono alcune informazioni e spiegano lo scopo per cui il contratto è concluso.
In secondo luogo, essendo scritto in inglese, le parti inseriscono nel paragrafo “definitions” in cui specificano il significato di alcune parole, vincolandosi a intenderle secondo il significato stabilito per l’intero SPA. Inoltre, dal momento che spesso il SPA, coinvolgendo interessi di soggetti di diversi ordinamenti, deve essere applicato in più Paesi, le parti si avvalgono di clausole sull’interpretazione del contratto, in modo tale da garantirsi un’interpretazione uniforme.
Tuttavia, possono le parti imporre a terzi (ad esempio, ad un giudice) regole sulle definizioni o sull’interpretazione?
Il problema è che in Italia le norme sull’interpretazione del contratto (artt. 1362 e ss.) sono inderogabili e il potere interpretativo è di competenza esclusiva del giudice, infatti:
1) Ai sensi dell’art. 101 della Costituzione “i giudici sono soggetti solo alla legge”.
2) Come stabilito nell’art. 1372 c.c. “il contratto ha forza di legge tra le parti”, ovvero ha efficacia relativa e non può vincolare i giudici.
Bisogna allora trovare l’equilibrio tra l’autonomia privata e l’efficacia relativa del contratto.
In realtà alla fine del Sale & Purchase Agreement viene inserita una clausola arbitrale con cui le parti stabiliscono che ogni controversia relativa al contratto dovrà devolversi all’arbitro. De Nova sostiene che, vigendo davanti all’arbitro il principio di autonomia delle parti, si potranno imporre delle regole interpretative a quest’ultimo.
È legittimo imporre all’arbitro determinate regole interpretative derogando gli artt. 1362 e ss. del codice civile?
In virtù dell’art. 816 bis c.p.c. “le parti possono stabilire nella convenzione d’arbitrato, o con atto scritto separato, purchè anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento e la lingua dell’arbitrato”.
Tuttavia è necessario sottolineare che tale tesi non trova conferme nella giurisprudenza.
All’opposto le definitions non possono neanche considerarsi nulle a priori. Occorre infatti distinguere due tipi di clausole sull’interpretazione:
1) Quelle che introducono canoni ermeneutici, che sono nulle sia perché il giudice è soggetto solo alla legge ex art. 101, comma 2, della Costituzione e non ai contratti, sia perché le norme sull’interpretazione possono considerarsi inderogabili (ex art. 1418 c.c.).
2) Quelle che forniscono al giudice dei dati fattuali preinterpretati, come alcune definizioni o premesse che possono considerarsi legittime quando forniscono un’utile traccia al giudice per l’interpretazione senza essere contrarie alle norme inderogabili sull’interpretazione del contratto.
Esempi di questo tipo di clausole sono gli headings che stabiliscono che la divisione del contratto in articoli sezioni o paragrafi non comporta una gerarchia delle clausole ai fini interpretativi o i gender and number che introducono precisazioni grammaticali sul genere e sul numero.
In ogni caso, il giudice può utilizzare tali clausole interpretative, ma deve essere sempre il garante del corretto equilibrio contrattuale. Egli costituisce, infatti, la difesa principale rispetto ai contratti alieni colmando le lacune di quella che è stata definita da Patti come la “debole barriera del diritto italiano”.
Altra clausola interessante per il giurista italiano è quella sui Remedies.
Dal momento che il presupposto di ogni rimedio è che si verifichi un inadempimento, nei contratti alieni le parti cercano di disciplinare in maniera precisa i possibili inadempimenti attraverso delle clausole di reciproche garanzie: le c.d. representations and warranties. Il loro contenuto varia a seconda dell’oggetto del contratto: ad esempio, le representations and warranties che troviamo in un Sale & Purchase Agreement non potranno essere uguali a quelle di un Non-Competition Agreement.
Clausole comuni a tutti i contratti alieni, invece, sono quelle di nullità parziale e di indennizzo, e su tali due rimedi sarà focalizzata la seguente analisi.
È frequente trovare nei contratti alieni le c.d. clausole di severability che recitano: “the invalidity or unenforceability of any provisions of this agreement shall not affect the validity or enforceability of any other provision of this Agreement, wich shall remain in full force and effect”.
Ciò significa che dall’eventuale nullità della singola clausola non deriva la nullità dell’intero contratto.
Tuttavia, come ha sottolineato sia la dottrina che la giurisprudenza, la nullità della clausola non travolge l’intero contratto se si tratta di una clausola non essenziale ai fini della conclusione del contratto. Il giudice deve effettuare tale giudizio alla luce di ciò che avrebbe fatto il contraente economicamente ragionevole. Se quest’ultimo nelle medesime circostanze note alle parti al momento della conclusione del contratto avrebbe concluso quest’ultimo pure in assenza della clausola poi rivelatasi nulla, allora il contratto risulterà severable (separabile).
Al riguardo, la sentenza 27/1/2003, n. 1189 della Cassazione così afferma: “l’estensione all’intero contratto della nullità delle singole clausole o del singolo patto, secondo la previsione dell’art.1419, co.1 c.c., ha carattere eccezionale perché deroga al principio della conservazione del contratto […]”.
Può dirsi che le clausole di severability contenute nei contratti alieni sono tendenzialmente valide.
In genere, il rimedio preferito e prevalente su tutti gli altri è l’indennizzo. La rilevanza di tale clausola è ancora maggiore se si pensa che esiste un modello contrattuale ad hoc che prende il nome di Indemnification Agreement.
Che cos’è l’indennizzo e come si può qualificare nel nostro ordinamento?
Partiamo dalla clausola che può essere così definita: “a «duty to make good any loss, damage or liability incurred by another» or «the right of an injured party to claim reimbursement for its loss, damage or liability from a person who has such duty»”
In pratica, è il dovere che hanno le parti del contratto di rimborsare le controparti in caso di perdite o danni laddove si verificassero.
Bisogna precisare che sebbene in alcuni casi le indemnification clauses non comprendano il risarcimento dell’eventuale mancato guadagno, in linea di principio, esse coprono tutti i tipi di danni, quindi sia il danno emergente che il lucro cessante.
L’idea alla base di questa clausola è che prevalga su tutti gli altri rimedi legali.
Per quanto riguarda il problema della qualificazione, bisogna sottolineare che nel nostro ordinamento l’indennizzo per violazioni del contratto è difficile da collocare. Nel codice civile italiano il legislatore parla di indennità (ad es. art. 1751 c.c.).
Ciò significa che, in linea di principio, l’indemnification clause non può considerarsi illegittima.
Nemmeno la giurisprudenza fornisce un particolare aiuto, dal momento che la maggior parte delle pronunce in tema di indennizzo sono in materia di assicurazione.
Il confronto principale va fatto tra l’indemnity clause e l’art. 1382 c.c., che recita: “La clausola penale, con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’inadempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità ulteriore”.
Sicuramente, in virtù di tale articolo, l’indemnification clause può considerarsi legittima, anche perché, ex art. 1383 c.c., la clausola penale come strumento di tutela assorbe anche la domanda di adempimento.
Tuttavia, bisogna subito dire che la clausola penale intesa come penalty clause è vietata nel diritto contrattuale inglese, perché è una clausola comminatoria ovvero ha funzione di dissuadere in terrorem il debitore dall’inadempimento.
La clausola “penale” legittima per il common law è la liquidated damages clause.
In tale sistema è ammesso che le parti regolino ex ante l’importo dei possibili danni (c.d. liquidated damages), quindi l’indemnity, essendo basata su tale fenomeno vuole essere sostitutiva del giudizio del giudice sui danni risarcibili e il più delle volte anche della quantificazione degli stessi. È tuttavia fondamentale, per evitare una dichiarazione di nullità del giudice inglese, che la clausola sia scritta in maniera precisa e costituisca una stima ragionevole del danno.
Ciò rappresenta un’ulteriore differenza rispetto al nostro ordinamento, ove, se la penale è manifestamente eccessiva, può essere solo ridotta dal giudice ex art. 1384 c.c..
Altra prassi interessante per il giurista italiano è che in genere le parti antepongono alla trattativa del SPA il c.d. Confidentiality Agreement. Si tratta di un accordo con cui le parti si vincolano a mantenere la trattativa segreta fino al closing.
La peculiarità del Confidentiality Agreement è che in genere prevale sul SPA ancorchè sia un accordo antecedente.
Passiamo all’analisi di un altro contratto qualificabile come alieno: il Non-Competition Agreement.
Il Non-Competition Agreement è un contratto concluso da un imprenditore al fine di evitare che le conoscenze acquisite da un suo ex-dipendente o un suo partner commerciale possano essere utilizzate contro di lui in futuro.
Nel primo caso possiamo qualificarlo come patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c., nel secondo caso si tratta di limitazioni convenzionali alla concorrenza tra imprese in genere connesse ad un sale of a business (cessione d’azienda).
Cominciamo col sottolineare che nella prassi il Non-Competition Agreement è utilizzato per lo più come accordo tra datore di lavoro e lavoratore subordinato a che quest’ultimo non compia atti concorrenziali a danno del datore di lavoro nel periodo successivo alla fine del rapporto di lavoro.
È qualificabile come un restrictive covenant accordo restrittivo, infatti si parla al riguardo anche di covenant not to compete.
Tale accordo è molto utilizzato dagli imprenditori per varie ragioni: evitare che gli ex dipendenti sfruttino le competenze acquisite presso la propria azienda presso un altro datore di lavoro concorrente; evitare che l’ex dipendente apra una propria azienda sottraendo clienti al suo precedente datore di lavoro; limitare la concorrenza tra imprese in particolare in caso di cessione d’azienda.
Anche in tale contratto c’è l’entire agreement clause, caratteristica di tutti i contratti alieni che stabilisce l’autosufficienza del contratto e la tendenziale ostilità del contratto rispetto alla legge.
La rilevanza di tale contratto oggi è costituita dal fatto che le imprese hanno enormi interessi a tutelare la proprietà intellettuale o la materia coperta dal segreto aziendale.
Stiamo parlando di un modello contrattuale estremamente diffuso a livello internazionale e simili sono i requisiti di validità di tale contratto necessari nei diversi ordinamenti. In Cina come in Italia, ad esempio, è necessario rispettare precise restrizioni sullo scopo, la durata e il territorio oggetto del contratto.
Si è detto che, quando un Non-Competition Agreement è stipulato tra un’impresa ed un dipendente, esso è assimilabile al patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. che così recita: “il patto di non concorrenza con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”.
Iniziamo con l’evidenziare che vi sono nelle definitions del contratto tre clausole di importanza fondamentale ovvero le restricted business, restricted territory e restricted territory. In tal modo si delimita l’attività, l’area geografica ed il periodo di validità del patto del Non-Competition Agreement e, quindi, un primo requisito di validità ex art. 2125 c.c. è soddisfatto.
Così come è soddisfatta la forma scritta.
Per quanto riguarda il corrispettivo, il contratto prevede in genere un “good and adequate consideration”, ovvero un buon e adeguato corrispettivo, pertanto si può concludere che ex art. 2125 c.c. il contratto che presenti le suddette clausole è valido.
L’importante è che il restricted period non superi i cinque anni se la party è un dirigente o i tre in caso di diversa qualifica professionale altrimenti in caso di durata maggiore l’art. 2125 co. 2 c.c. prevede la riduzione automatica.
Nella prassi americana in genere tali pattuizioni non superano mai la durata di un anno dalla conclusione del rapporto di lavoro, di conseguenza non ci dovrebbero essere problemi con l’articolo in questione.
Il patto di non concorrenza rappresenta un’estensione della durata dell’obbligo di non concorrenza ex art. 2105 c.c.. Quest’ultimo va ricondotto al più generale obbligo di fedeltà del lavoratore dipendente verso il datore di lavoro.
Riguardo all’obbligo di fedeltà, l’art. 2105 c.c. distingue due sottocategorie in cui tale obbligo si concretizza: l’obbligo di non concorrenza che dura, appunto, solo durante il rapporto di lavoro e l’obbligo di riservatezza aziendale.
Il Non-Competition Agreement in genere ricomprende entrambi: esso, infatti, con la clausola non-competition proibisce al lavoratore di accettare incarichi da un’impresa che operi nel settore previsto dal restricted business mentre con la clausola non-disclosure prevede un obbligo di riservatezza.
L’obbligo di riservatezza ha ad oggetto il segreto aziendale ovvero ricomprende tutte le notizie di carattere organizzativo e produttivo conosciute dal dipendente in occasione del rapporto di lavoro e non le competenze professionali dello stesso.
Alla base dell’obbligo di fedeltà c’è la tutela “dell’interesse del datore di lavoro alla capacità di concorrenza dell’impresa e alla sua posizione di mercato”.
Altra clausola tipica del Non-Competition Agreement è la non-solicitation clause con cui la parte si impegna a non indurre altri dipendenti a lasciare il datore di lavoro e a non adescare i clienti dell’impresa.
Ad ogni modo, la validità di tale accordo per il diritto italiano dipenderà soprattutto dalle clausole restrittive ed è importante che siano redatte in maniera specifica e non generica.
Passando al Business to Business Non-Competition Agreement bisogna dire che consiste in sun accordo tra due imprese che sono partner commerciali avente oggetto limiti reciproci alla concorrenza. Tali limitazioni sono legittime, purché il contratto sia approvato per iscritto, sia circoscritto ad una determinata zona o attività e la sua durata non superi i cinque anni ex art. 2596 c.c..
È importante che tali accordi siano conformi alla l. n. 287/1990 (la c.d. legge antitrust) e più in generale all’art. 101 del TFUE in materia di intese vietate. Tali normative hanno come obiettivo quello di evitare che taluni accordi tra imprese possano alterare la concorrenza sul mercato nazionale ed europeo.
Il Non-Competition Agreement, di conseguenza, non dovrà costituire né un’intesa orizzontale vietata (un accordo tra due imprese appartenenti allo stesso anello della catena produttiva) né un’intesa verticale vietata (un accordo tra due imprese appartenenti a due anelli diversi della catena produttiva come ad esempio un produttore ed un distributore).
In particolare, un tale tipo di accordo lo troviamo in caso di Sale of a Business come patto limitativo della concorrenza a carico dell’alienante l’azienda ex art. 2557 c.c..
Qualunque tipo di Non-Competition Agreement tra imprenditori che risulti essere contrario alle regole in materia antitrust è nullo di pieno diritto ex art. 101 TFUE ed ex art. 2 l. 287/1990.
Passiamo all’esame di una clausola sui rimedi che spesso si trova nei Non-Competition Agreement: “[…] Accordingly, in addition to any other remedies and damages available, [•] acknowledges and agrees that [•] may immediately seek enforcement of this Agreement by means of specific performance or injunction, without any requirement to post a bond or other security”.
Tale previsione non è del tutto incompatibile con la legge italiana, dal momento che si prevede la possibilità di utilizzare i rimedi disponibili.
Tuttavia le parti stabiliscono la possibilità per l’azienda di chiedere immediatamente l’esecuzione in forma specifica o mediante decreto ingiuntivo dell’accordo.
Procedendo con ordine, bisogna sottolineare come quando scrivono “immediately” le parti intendono sottolineare come la company non debba mettere in mora la controparte né tantomeno diffidarla all’adempimento.
La messa in mora ex art. 1219 c.c. senz’altro non è necessaria dal momento che il Non-Competition Agreement ha ad oggetto obblighi di non fare e le disposizioni sulla mora sono inapplicabili ex art. 1222 c.c. in caso di inadempimento di obbligazioni negative.
La diffida ad adempiere funzionale alla risoluzione difficilmente sarà utilizzata perché l’interesse dell’azienda non è quello di risolvere il contratto in caso di inadempimento della controparte (interesse che la prassi ha mostrato come sussistente solo per evitare di pagare il corrispettivo).
La tutela immediata è quindi compatibile con il nostro ordinamento e giustificata soprattutto in virtù degli interessi sottesi.
Quando, infatti, un ex-dipendente non rispetta un Non-Competition Agreement, il datore di lavoro vuole una pronta tutela perché l’assunzione di questi presso un’impresa concorrente potrebbe comportare ad esempio la divulgazione di informazioni riservate. In tal caso l’interesse del datore di lavoro sarebbe irrimediabilmente compromesso.
È difficile, infatti, garantire l’esecuzione in forma specifica di un Non-Competition Agreement.
Per quanto riguarda la possibilità di chiedere un decreto ingiuntivo (injuction) è evidente che tale contratto non è stato scritto dal giurista italiano.
Il procedimento per ingiunzione nel nostro ordinamento può essere chiesto ex art. 633 c.p.c. solo per esigere un credito “di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili” o per ottenere la consegna “di una cosa mobile determinata”.
È chiaro che l’ingiunzione non potrà essere chiesta nel caso di inadempimento di un Non-Competition Agreement in Italia.
Una forma di tutela soddisfacente per l’imprenditore in caso di violazione di un patto di non competizione può essere quella cautelare.
Una parte della dottrina, con l’avallo della giurisprudenza, ha sottolineato come la violazione di un Non-Competition Agreement possa essere efficacemente contrastata configurando a carico del nuovo datore di lavoro una responsabilità indiretta per fatto dell’ex-dipendente. Secondo quest’impostazione tale violazione costituirebbe un atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. (lesione del principio di correttezza professionale) e, in base agli artt. 2599 c.c. e 700 c.p.c. sarebbe possibile ottenere in tal caso un provvedimento inibitorio.
Tuttavia, tale orientamento è confermato solo da giurisprudenza di merito.
Anche la legge antitrust conferma l’opportunità delle misure cautelari. In base all’art. 14 l. 287/1990, infatti, l’autorità antitrust può adottare misure cautelari nel caso di rischio di un danno grave e irreparabile.
Ad ogni modo, il vero problema è che le parti nei remedies intendono stabilire una tutela maggiormente rafforzata per la company. Tale clausola può considerarsi legittima per le seguenti due ragioni.
In primo luogo essa prevede la possibilità che tutti gli altri rimedi legislativi rimangano a disposizione delle parti. Di conseguenza la party potrà in ogni caso servirsi degli strumenti di tutela previsti dalla legge italiana senza che prevalgano i rimedi convenzionali dal momento che non vi sono delle limitazioni al potere di azione della party.
In secondo luogo tale clausola contrattuale rafforza i rimedi della company solo per soddisfare, come si è detto, una legittima esigenza di rapidità per la tutela di quest’ultima.
Uno scenario alternativo sarebbe quello di affiancare a tali rimedi una clausola penale; in tal caso l’impresa, pur non vedendo soddisfatto il suo interesse specifico, otterrebbe comunque una reintegrazione economica per il danno subito. In ogni caso, nelle obbligazioni di durata la penale ex art. 1383 c.c. è alternativa all’esecuzione in forma specifica ex art. 2933 c.c..
Il Non-Competition Agreement è sempre un patto accessorio ad un contratto principale.
Tale accordo si pone al centro del delicato rapporto tra tutela della proprietà intellettuale dell’impresa e diritto del lavoratore di utilizzare le proprie capacità professionali presso una nuova impresa.
Negli Stati Uniti, la Suprema Corte del Texas (nel caso Marsh USA Inc. v. Cook) sancì l’esecutività del Non-Competition Agreement nonostante la sua accessorietà, perché esso incentivava l’efficienza dell’industria e proteggeva l’investimento del datore di lavoro per la formazione del dipendente. Secondo la Corte tali valori meritano ragionevolmente di prevalere sull’accessorietà del covenant.
È importante sottolineare che i contratti alieni sono entrati non solo nella prassi commerciale italiana ma, secondo questo studio, sono alieni, anche contratti che ogni consumatore stipula quotidianamente. Si pensi ai Termini e Condizioni d’Uso di YouTube o di e-Bay, contratti scritti secondo criteri che assicurano grande completezza e tendenzialmente ostili all’intervento del giudice; o anche ai contratti di telefonia mobile, che sempre più spesso presentano clausole sulle definizioni, analizzate in precedenza; o ai contratti di mutuo sempre più di frequente utilizzati nella prassi bancaria, caratterizzati da testi estremamente completi e per questo molto lunghi.
In conclusione al presente articolo, deve essere evidenziata la seguente principale critica alla tesi del contratto alieno: nel commercio internazionale serve necessariamente un modello comune che anche per ragioni anche linguistiche è quello inglese-statuinitense.
Il giurista italiano che scrive un contratto di questo tipo sceglierà come legge applicabile quella che conosce ovvero quella italiana.
Di conseguenza, il contratto internazionale eseguito in Italia è per definizione alieno. Non solo, quindi, il Sale & Purchase Agreement e il Non-Competition Agreement, ma anche, ad esempio, un contratto di Joint-Venture ed in effetti anche il leasing prima del d. lg. n. 385/1993 si sarebbe potuto qualificare come contratto alieno.
Secondo quest’impostazione, sarebbe inutile qualificare i contratti internazionali come alieni, perché sarebbe un semplice appellativo dottrinario dotato di scarsa rilevanza pratica.
Sebbene questa sia una critica fondata e condivisibile, lo scopo di questo articolo non è stato quello di sposare in pieno la tesi del contratto alieno, bensì di sottolineare come esistano taluni contratti che nell’intenzione delle parti dovrebbero prevalere sulla legge italiana.
Bisogna riconoscere che questa nuova categoria contrattuale può aiutare a concettualizzare e sintetizzare una serie di problematiche dal grosso rilievo pratico.
I soggetti che utilizzano tali contratti sono i protagonisti dell’economia mondiale e, data anche la loro forza economica, hanno una forte tendenza ad autoregolarsi: oltre ai contratti alieni, basta pensare ai codici di condotta utilizzati da molte multinazionali, ulteriore testimonianza del fatto che tali soggetti vogliono evitare il più possibile contatti con le leggi e con i giudici interni di ciascun ordinamento.
Tale fenomeno va sicuramente contrastato dall’operatore giuridico italiano, anche se bisogna sottolineare come sia legittima l’esigenza delle multinazionali di confrontarsi con una disciplina omogenea, tentando di sottrarsi alle legislazioni di tutti gli Stati del mondo.
Una possibile soluzione per questo problema potrebbe essere quello di individuare almeno per i sistemi di civil law europei delle regole contrattuali comuni più vincolante rispetto alle attuali Carte dei diritti presenti in materia contrattuale.
Ulteriore aspetto che tale articolo ha cercato di dimostrare sta nel fatto che i contratti alieni sono molto più diffusi di quel che possa sembrare.
Bisogna sottolineare, infatti, che per esempio il Sale & Purchase Agreement non viene solo utilizzato per importanti cessioni di società come nel caso dell’A. C. Milan. Molte piccole e medie imprese con ambizioni internazionali stanno iniziando ad usare questo modello contrattuale anche per semplici operazioni interne ed è quindi fondamentale che l’operatore giuridico ne conosca gli schemi.
Tuttavia la diffusione dei contratti alieni non si ferma ai contratti di carattere commerciale.
Come questo articolo ha cercato di dimostrare, non solo il Sale & Purchase Agreement, il Non-Competition Agreement sono qualificabili come alieni, ma anche contratti che tutti i consumatori stipulano quotidianamente: il contratto con alcune compagnie di telefonia mobile, i termini e condizioni d’uso di YouTube e di e-Bay.
Si potrebbe dire che siamo già stati “invasi dagli alieni”, anche se è importante tenere presente che ci sono alieni buoni come quello raccontato da Spielberg in “E.T. l’extra-terrestre”, dai quali recepire strumenti che concorrano al progresso dell’umanità; nel nostro caso sarebbe utile dare accoglienza nell’ordinamento italiano ad esempio alla prassi del Common Law di contrattualizzare, rendendoli obblighi contrattuali, quelli che per il Diritto Italiano sono comportamenti delle parti precedenti o successivi al contratto liberamente qualificabili dal giudice. Seguendo questi esempi, sicuramente il nostro ordinamento migliorerebbe in termini di certezza del diritto.
Tuttavia, esistono anche alieni pericolosi, ovvero quelli che vogliono conquistare la terra e che si nascondono sotto sembianze umane. Come avviene nella saga “Alien” di Ridley Scott, in cui gli alieni vengono sconfitti da avversari umani competenti e determinati, così nel nostro Paese il giudice, prima, e il legislatore, poi, possono annullare tutti quei contratti o quelle clausole contrattuali che nonostante siano incompatibili con la legge italiana pretendono di prevalere su di essa.
È evidente che i contratti alieni nascono in un “altro mondo”, con una diversa cultura giuridica, in cui i giuristi hanno un rapporto profondamente diverso con la legge.
Nel nostro ordinamento, però, la legge non può piegarsi alla volontà delle parti, soprattutto se si tratta di multinazionali; se così non fosse, si metterebbero in discussione le fondamenta del nostro sistema.
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