La formula potrebbe essere quella del contratto “alla tedesca”, un parto tutt’altro che semplice, come proprio la “locomotiva d’Europa” ha dimostrato nei mesi successivi al voto, tra clausole, veri e propri dietrfront e ripensamenti.
E pare che le premesse per il nascituro governo Di Maio siano le stesse, se non peggiori: le timide aperture tra i dem hanno già scatenato un putiferio, sia tra i dirigenti più smaccatamente antigrillini, che nella base più oltranzista.
Profili social e pagine rimbalzano delle peggiori dichiarazioni degli ultimi anni vergate dagli esponenti M5S in direzione del Pd e dei suoi rappresentanti. Viceversa, dalle parti dei 5 Stelle i commenti di delusione e rigetto di questo avvicinamento sono ormai all’ordine dei giorno sotto ai post dei principali volti del MoVimento.
Ecco, dunque, che il “flame”, ovvero la cascata di commenti negativi può arrivare financo a chiudere le porte al governo, con gli oppositori al dialogo che si sentono rinfrancati di fronte alla marea di critiche e i promotori che, all’opposto, si guardano attorno nel terrore di perdere consenso.
Ecco perché Di Maio e Martina appaiono così titubanti: hanno paura – entrambi, per ragioni diverse – di gettare alle ortiche la leadership sulla propria base, un errore che potrebbe risultare fatale alla loro carriera. Ebbene, la politica dovrebbe prevedere anche una quota non indifferente di rischio, eventualmente anche prendendo decisioni controcorrente pur nella convinzione di essere nel giusto.
Ma di fronte a simili premesse, forse verrebbe da dire che questo governo sarebbe meglio non nascesse mai, poiché, qualora dovesse vedere effettivamente la luce, potrebbe ritrovarsi con ben tre opposizioni da fronteggiare: quella esterna – e duplice – di Forza Italia e della Lega di Salvini, oltre a quella interna di due forze che difficilmente troveranno punti di contatto. Ovviamente, il primo imputato per ogni passo falso sarà il premier – con ogni probabilità Luigi Di Maio – che pagherebbe in prima persona lo stallo politico. Una sorta di “governo di minoranza” di fatto, formula ormai in disuso ma che rievoca periodi bui della Repubblica.
Ecco perché le bozze di contratto girate in questi giorni hanno il valore di un fiammifero nell’oceano: non ci sarà futuro dell’esecutivo se i punti dell’accordo non saranno chiari, definiti, con cifre e dati alla mano e una road map ben precisa per la realizzazione degli obiettivi.
Vista l’approssimazione con cui si sono svolte fin qui le consultazioni al Quirinale, è assai difficile che questo possa accadere, e anzi, un accordo troppo generico potrebbe risultare un boomerang per entrambi i firmatari, con i partiti rimasti fuori – su tutti il Carroccio – a fregarsi le mani.
Insomma, il sentiero imboccato da M5S e Pd è stretto e irto di pericoli: se ognuno marcerà per se stesso, la fine non potrà che essere il baratro.
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