Da qualche anno, e per la precisione dall’entrata in vigore del famigerato decreto Bersani, con ciclica puntualità torna a far parlare di sé l’argomento dei cd. “negozi legali” o “negozi del diritto”, anche chiamati “studi legali su strada” o “negozi di avvocati”: insomma strutture che fin dalla prima apparenza (spesso vetrinati, sul fronte strada, con un arredamento meno formale di quello, più o meno classico, dello studio legale tradizionale) emanano l’idea di un qualcosa di molto diverso rispetto, appunto, alla concezione di studio di avvocati.
Chiarisco subito, onde evitare retropensieri, che lo scrivente lavora in uno studio legale assolutamente “classico”, sia nell’ambiente che nella struttura (avvocati, praticanti, personale di segreteria) e al momento non ha alcuna intenzione di aprire un “negozio”.
Non v’è dubbio che al primo apparire, qualche anno fa, i negozi giuridici hanno destato più di qualche perplessità (è un cortese eufemismo, sia chiaro) nella categoria forense, con tanto di provvedimenti di qualche ordine degli avvocati, contro-misure dell’Antitrust nei confronti di tali ordini e così via, ma questa oramai è storia passata, naturalmente vi sono avvocati che aborrono tali modalità di svolgimento della professione, e altri che invece l’hanno fatta propria.
Se ne torna a parlare in questi giorni in seguito alla pubblicazione dei dati sui redditi medi dei professionisti da parte dell’Associazione degli enti previdenziali privati: per quanto riguarda in particolare gli avvocati, il dato che emerge è che dal 1990 il reddito medio, al netto dell’inflazione, non ha subito alcun mutamento e, in compenso, gli iscritti alla Cassa forense sono passati dall’essere 45.076 nel 1990 ai 170.106 del 2011 (in realtà gli avvocati sono circa 60.000 mila in più, in quanto tale dato non contempla gli avvocati che, all’epoca non erano iscritti alla Cassa Forense).
Non solo: sempre nei giorni scorsi è apparsa la notizia di un supermercato al cui interno, in determinati giorni, verrà fornito un servizio definito di “orientamento legale” (peraltro dalla lettura dell’articolo pare un vero e proprio servizio di consulenza legale).
Evidentemente, il voler contrastare tali fenomeni brandendo la clava della dignità della professione che verrebbe calpestata svolgendo così la professione, sembra lasciare il tempo che trova, e sa parecchio di battaglia di retroguardia (va detto che l’avvocatura, quantomeno nell’ultimo ventennio, pare essersi specializzata nel combattere inutilmente battaglie di retroguardia).
Allo stesso tempo anche dipingere ogni volta questa modalità di svolgimento della professione forense come “la novità” comincia a diventare un argomento trito e ritrito, che se aveva senso negli anni 2007-2008 oggi lascia presagire una qual certa stanchezza nel giornalista di turno.
Sarebbe invece ora di ragionare in termini di target di riferimento: questo tipo di offerta, infatti, potrebbe incontrare le necessità di quelle persone che fino ad ora, per le motivazioni più diverse tra le quali quella economica è certamente una ma non l’unica, nemmeno entravano nello studio di un avvocato, rivolgendosi invece ai sindacati, ai centri servizi, ai caf, e così via.
Viceversa, personalmente non credo che questa offerta sia destinata a “portare fuori” dagli studi la clientela “tradizionale”.
Naturalmente, posso sbagliarmi.
Tu, cosa ne pensi?
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