Il rapporto tra il difensore e l’istituto si era protratto per ben 13 anni, dal 1994 al 2007, e gli unici resoconti di pagamenti rinvenuti erano niente altro che “numerosi fogli firmati in bianco e non recanti alcuna scritturazione né intestazione”. Le uniche emissioni parlavano di un progetto di parcella del valore di 300mila euro e cinque fatture di 63mila complessivi, mentre le somme incassate arriverebbero a un totale di 4 milioni di euro.
A quanto si avvince dalla ricostruzione, il fatto che direttamente l’istituto “avesse chiesto all’avvocato di non effettuare – si legge nella nota del Cnf – la fatturazione delle somme dovute“, costituirebbe un’aggravante, poiché, essendo il professionista tenuto a rispettare gli obblighi di legge, emerge la “intenzione, espressa, di porre in essere una evasione fiscale continuata“. Secondo i giudici, insomma, la responsabilità del legale non era affatto attenuata dalla richiesta avanzata dall’ente bisognoso di tutela.
Un parere che ha convinto la Cassazione, la quale ha ravvisato una forte gravità del comportamento dell’avvocato, una volta stabilito che la condotta non si è interrotta di proseguire a mettere in pratica una “continuata evasione fiscale, come risulta anche dalla richiesta della cliente, contenuta nella predetta lettera, di non effettuare la fatturazione sulle somme spettanti al legale: richiesta che, come correttamente avvertito dal Cnf, non poteva costituire una circostanza attenuante della responsabilità dell’avvocato”.
Qui il testo integrale della sentenza n. 13791/2012 della Cassazione
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento