“Giustizia fai da te”? La Cassazione condanna 75enne per un gavettone

Nel nostro ordinamento, come in gran parte degli ordinamenti moderni, non è prevista la cosiddetta giustizia privata, nel senso che, fuori dai casi extragiudiziari, se si possiede un diritto, questo deve essere accertato dal giudice e soddisfatto attraverso gli strumenti giudiziari che la legge mette a disposizione del soggetto legittimato. In altri termini, la legge non permette che uno stesso soggetto si identifichi in giudice, giustiziere e beneficiario.

Lo prevede esplicitamente l’articolo 393, comma 1, del Codice Penale che recita: “Chiunque, […] potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone , è punito a querela dell’offeso con la reclusione fino a un anno”.

A conferma di tale principio, che è alla base della società civile, si aggiunge una recente sentenza della Cassazione. I giudici di legittimità, con sentenza n. 39869/2013, hanno confermato la condanna inflitta ad un 75enne, il quale, ormai stanco dei continui rumori e schiamazzi provenienti da un locale notturno, situato sotto il suo appartamento, aveva versato dall’alto della sua finestra acqua lurida sui clienti della discoteca, raggiungendone alcuni. A tale gesto istintivo aggiungeva ingiurie e minacce che rivolgeva alla proprietaria del locale, sopravvenuta successivamente all’ingresso della discoteca.

I giudici del Tribunale del luogo hanno condannato l’imputato con l’accusa di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle personeex articolo 393 del Codice Penale.

Convenendo con quanto rilevato dai giudici di merito, i giudici della Suprema Corte hanno osservato che il soggetto in questione, leso il suo diritto al riposo, essenziale per la tutela della salute, bene che gode di una tutela costituzionale (articolo 32), ben poteva “far ricorso al giudice o avvalersi di rimedi giuridici, in luogo di esternare la sua clamorosa “protesta” con la condotta incriminata”.

È stata quindi confermata in Cassazione la condanna a 20 giorni di reclusione (pena sospesa) e al risarcimento del danno per le negative ripercussioni sul locale pubblico (sotto il profilo della frequentazione degli avventori), nonostante sia stato accertato violazione della destinazione d’uso del locale, privo di autorizzazione comunale e insonorizzazione.

Inutile ribadire che la giustizia “fai-da-te” non paga mai!

Lorenzo Pispero

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