Giù dal balcone

Guardate dal balcone di casa, le manifestazioni di piazza ispirano sempre questa considerazione: una protesta non promuove risposte e soluzioni, ma sa solo elargire rabbia, ed è quindi intrappolata nel bozzolo stesso delle sue urla. Consumato l’entusiasmo, la fiamma delle grida si esaurisce per autocombustione, tanto più presto quanto meno l’incendio si è propagato.

Il pompiere, in questi casi, è il cosiddetto “realismo”, ovvero il pessimismo travestito da saggio.

Questo saggio arguisce, elegante, che se le urla di piazza non sanno sillogizzare, esprimere programmi, fare proposte, in che modo il destinatario delle invettive può dar loro un seguito? “Più benessere per tutti” è talmente vaga, come frase, che non vuol dire nulla. Ecco perché, non succede nulla. E poi, a dirla tutta, il popolo non è pratico di tutti gli iter, i quorum, i deficit e gli altri latinorum che reggono la politica. E’ molto probabile che le sue richieste siano intempestive, irrealizzabili. Inopportune “considerate le contingenze” e “vista l’attuale congiuntura”. State solo, insomma, congestionando il traffico.

Ora: le ovvietà hanno il gran pregio di essere sempre vere, ma hanno spesso anche il dolo di imperniare su questo pregio un fascino immeritato.

E’ ovvio che il cittadino medio non può elaborare un programma politico dalla sera alla mattina (a meno di avere l’immodestia dei comici). Non è il suo ruolo, né il suo compito né sua responsabilità.

A dirla tutta, è spesso un bene che certe richieste di piazza restino inascoltate. Che democrazia sarebbe quella in cui qualunque idea che viene dal basso può essere messa in pratica, magari da politici che, pur di salvare una poltrona, stanno sempre con l’orecchio teso alla pancia del popolo?

Le proteste di piazza non vogliono dare la soluzione ai problemi di un Paese, ma vogliono piuttosto chiederla in toni ricattatori. Già perché può anche scandalizzare, ma l’anima di una protesta è esattamente la cd. “violenza”, e il risultato che si prefigge è istillare paura in chi è pagato per fare e non ha ancora fatto, cioè dire “vi abbiamo scoperti, siete in mala fede o inadatti: in entrambi i casi, di troppo”. Per chi si è assunto una responsabilità così grande come quella di governare, essere smascherati in una qualunque di queste circostanze è sempre disagevole, e obbliga meccanicisticamente a proposte di riparazione.

Sta poi ai manifestanti decidere se dilapidare il loro capitale di rabbia e considerazione mediatica in cassonetti bruciati o in un’attenzione implacabile a ciò che i politici proporranno come risposta, un’attenzione che non si lasci imbambolare ancora una volta né si faccia distrarre da “vaffa” consolatori buoni solo per coscienze che hanno fretta di poter dire a loro stesse: “io il mio l’ho fatto”.

Marco Lo Monaco

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