Secondo il DECRETO BALDUZZI ( Legge 189/2012 ), l’esercente una professione medica, qualora si attenga, nello svolgimento della propria attività, a linee guida ed a buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponderebbe penalmente del reato di colpa lieve, in caso di danni alla persona del proprio paziente.
IL CASO IN OGGETTO:
Analizziamo qui la fattispecie di un intervento chirurgico di mastoplastica additiva: intervento, cioè, nel quale il medico aveva operato la propria paziente per aumentare il volume e migliorare l’aspetto dei suoi seni. La paziente, dal canto proprio, aveva dovuto affrontare, a seguito dell’intervento, quaranta giorni di notevoli sofferenze, sia a livello fisico, sia a livello psichico. La Signora lamentava, altresì, il fatto di avere anche subito un innegabile e grave danno estetico, viste soprattutto le grandi e permanenti cicatrici causate dalle incisioni del bisturi. Si aggiungano poi, nel novero dei non pochi danni, due distaccamenti dei muscoli mammari.
LA DIFESA DEL MEDICO:
Nonostante il grave quadro clinico sopra esposto, il medico danneggiante pretendeva l’applicazione, a proprio favore, del DECRETO BALDUZZI, di cui prima abbiamo voluto accennare. In più, egli sperava di rafforzare la propria difesa col fatto che la sua cliente aveva firmato il previsto modulo per il consenso informato all’intervento, dimostrando dunque di essere al corrente dei relativi rischi.
IL PARERE DELLA CASSAZIONE ( sentenza 2347, depositata il 20/01/2014 ):
La premessa dei Giudici di Cassazione è che nulla conta il fatto che la paziente avesse prestato il proprio consenso informato all’intervento mal riuscito. L’acquisizione di tale consenso rappresenta solamente, infatti, la condizione di liceità dell’operare del chirurgo, ma non influisce assolutamente sulla valutazione della condotta di quest’ultimo.
Né il medico accusato sarebbe stato legittimato, nel nostro caso, a richiedere l’applicazione del DECRETO BALDUZZI, il quale è unicamente circoscritto alla fattispecie in cui il chirurgo si sia attenuto a “ direttive solidamente fondate e come tali riconosciute “. Ponendo chiarezza sulla controversia in oggetto, la Corte di Cassazione ne ha approfittato per sottolineare come il DECRETO BALDUZZI sia effettivamente servito, nel mondo delle responsabilità mediche, a fare emergere la sostanziale differenza tra colpa lieve e colpa grave, nonché la valorizzazione delle linee guida per l’operare sanitario e delle “ virtuose pratiche terapeutiche, purchè corroborate dal sapere scientifico “. Nel caso del chirurgo in oggetto, la Corte ha osservato l’assenza di prove inerenti al fatto che fossero state eseguite pratiche virtuose. Viceversa, l’intervento chirurgico aveva mostrato un notevole grado di imperizia nella realizzazione della mastoplastica incriminata, resa ancora più negativa dall’uso di protesi assolutamente inadeguate. Per il chirurgo sotto accusa, la Corte ha sentenziato dunque la “ colpa grave “ ( anziché quella “ lieve “ prevista dal DECRETO BALDUZZI ). Per i medici, infatti, tale tipologia di colpa esiste ancora, in caso di errore causato: o dalla mancata applicazione delle cognizioni generali della professione; o dall’assenza di quel minimo di abilità necessaria per l’uso del bisturi; o dalla normale assenza di prudenza e di diligenza in campo terapeutico.
L’ULTERIORE AGGRAVIO DELLA POSIZIONE DEL MEDICO:
La vittima del mal riuscito intervento chirurgico aveva accusato quaranta giorni di sofferenze fisiche e psichiche, integrate anche dal proprio rilevante e permanente danno estetico. La Corte di Cassazione ha inquadrato nel “ concetto di malattia “ sia i su citati quaranta giorni, sia il permanere di quei danni fisici e di quegli inestetismi. Una precedente sentenza della Corte stessa ( la 47265 del 2012 ) aveva usato maggiore clemenza, assolvendo un chirurgo estetico piuttosto maldestro, il quale
aveva compiuto alcuni errori con le protesi, causando alla propria paziente significative sofferenze e danni estetici. In quella circostanza, però, i giudici avevano escluso che i danni alla paziente potessero essere considerati una malattia, viste anche l’età già avanzata della vittima e la sua condizione estetica pregressa.
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