La concentrazione delle tv commerciali in mano a Silvio Berlusconi e lo spauracchio Emilio Fede del più schierato telegiornale dell’epoca erano un vero assillo per tutti gli oppositori del magnate di Arcore, unico leader sopravvissuto nell’epoca dei social network.
Ma oggi sono tanti i fattori che contribuiscono a creare un’opinione nella mente dell’elettore, un’appartenenza e un sostegno a un partito o a un candidato in particolare. In due decenni, si è spostato completamente l’asse attorno a cui ruotano le notizie e la politica: dalla televisione al web, un mezzo con una potenza di fuoco infinitamente superiore a quello di un canale tv.
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Tutto il dibattito sulle fake news che sta proseguendo da mesi, finalmente, è arrivato anche in Italia lo dimostra: ma per darci la sveglia serviva il “New York Times”.
Il quotidiano Usa ha infatti pubblicato nei giorni scorsi un’inchiesta che spiega come le imminenti elezioni italiane siano a forte rischio di contaminazione da bufale, con una predisposizione “naturale” a incidere per partiti populisti o antisistema, quali possono essere la Lega Nord o il MoVimento 5 Stelle. Un po’ come avvenuto nei mesi scorsi con la clamorosa elezione alla Casa Bianca di Donald Trump, con il coinvolgimento di siti, pagine e account farlocchi su tutti i social, tali da impestare le bacheche di milioni di utenti in prossimità delle urne e orientarne così l’opinione.
La legge bufala
Se la più grande democrazia del mondo non ha saputo proteggersi da queste infiltrazioni, davvero possiamo essere in grado noi nella piccola e disastrata Italia ad arginare un’emergenza ormai globale? No, e infatti le reazioni hanno del tragicomico.
Il Partito democratico, in crisi di consensi dopo il flop siciliano, ha pensato di presentare una proposta di legge fuori tempo massimo – perché le elezioni sono troppo vicine per un’approvazione – e con intenti semplicemente irraggiungibili.
Secondo il testo in elaborazione, infatti, dovrebbero essere nientemeno che i colossi del web – Facebook, Twitter e compagnia – a vigilare sui contenuti postati dagli utenti, con multe che potrebbero toccare il mezzo milione di euro per ogni post inficiato da una bufala non rimosso e cinque milioni per errori più gravi “di sistema”. Entro ventiquattrore, secondo la proposta, i social media dovranno intervenire per rimuovere le informazioni false o tendenziose in base alle segnalazioni degli utenti.
Per offese passibili di denuncia, servirà invece una settimana: insomma, le compagnie digital dovranno sostituirsi a magistrati, agenzie internazionali, osservatori per la tutela di minoranze e via discorrendo, forse anche al Parlamento stesso. Uno scenario se vogliamo ancor più apocalittico di quello attuale, in cui sarebbero solo le poche corporation della rete a discernere il vero dal falso.
E il deterrente per le eventuali inadempienze quale dovrebbe essere? Se Facebook o Instagram non avranno cancellato un contenuto su indicazione degli iscritti, allora la proposta di legge prevede che questi potranno rivolgersi al Garante per la privacy: un’eventualità che, ne siamo certi, sta già facendo tremare l’intera Silicon Valley.
Beninteso: non è vero come dice Salvini che “bisogna occuparsi di problemi più seri”, ma sicuramente il modo di affrontare la questione da parte del Partito democratico è completamente inefficace e ha solo la finalità elettorale di tracciare un confine tra “bufalari” e non (il che, comunque, resta tutto da dimostrare).
Visto il dibattito in corso sulla web tax, con continui stop e rimandi in commissione che non riescono neanche a stabilire un piano comune su cui far pagare le tasse alle compagnie di internet, forse pretendere di sistemare con un colpo di spugna una questione che inciderà nei prossimi decenni delle vicende internazionali, è un passo un po’ troppo lungo.
Senza contare, poi, che Prima dell’era di internet era più semplice conoscere la tendenza di un giornale o di un’emittente. Oggi, nel calderone dell’informazione è tutto infinitamente più liquido e confuso, ed è difficile tracciare linee nette: si pensi a Scalfari che ha comunicato di preferire l’arcinemico di una vita Silvio Berlusconi a Luigi Di Maio. E di fronte a questo panorama, viene quasi nostalgia del Tg4…
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