Sulla questione pose un chiarimento la Suprema Corte stabilendo che: “non essendo più generalmente consentito che chi versi in una condizione di illiceità tragga vantaggio da essa, il danno permanente, indennizzabile nel caso della c.d. “espropriazione larvata” – che ricorre ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46 ed ora del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 44 quando il danno derivante dalla perdita o diminuzione di un diritto in conseguenza dell’esecuzione dell’opera pubblica riguarda quei soggetti che, pur in presenza di un procedimento espropriativo, ne siano rimasti completamente estranei (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera) o abbiano subito un danno non per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, ma in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte non espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa ovvero in conseguenza della sua utilizzazione in conformità della funzione cui è destinata (Cass., Sez. 1, 16/09/2009, n. 19972) – può essere invocato, vigendo la stessa regola che vale per le espropriazioni (Cass., Sez. 1, 14/12/2007, n. 26260), solo dal proprietario di una costruzione che – anche a posteriori, per effetto della sanatoria intervenuta – sia considerata legittima, “sicchè l’indennizzo non compete per le costruzioni abusive o non ancora sanate – salvo si lamenti un danno generico alla proprietà del fondo inedificato – o per quelle realizzate dopo l’approvazione del progetto di opera pubblica dalla cui realizzazione il proprietario abbia ragione di temere la compressione delle proprie facoltà dominicali” (Cass., Sez. 1, 12/09/2014, n. 19305).
Segue.. “Poichè, come si è precisato in premessa, consta dalle risultanze peritali debitamente trascritte ai fini dell’autosufficienza del ricorso, che l’immobile era stato realizzato con dimensionamento diverso da quello oggetto di concessione e diversa ne era stata pure la destinazione e poichè nessuno dei suddetti abusi era stato sanato, nessun titolo giustificava il riconoscimento dell’indennità richiesta e la pronuncia impugnata va perciò conseguentemente cassata”.
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