Così, la “platea” ha deciso di fare quadrato e andare per vie legali contro Elsa Fornero e il Ministero del Lavoro da lei diretto, a loro avviso responsabili per l’impasse istituzionale che continua a tenere una moltitudine di ex lavoratori con il fiato sospeso.
A difendere le ragioni degli esodati ancora senza copertura, sarà lo studio legale Alleva di Bologna, che ha ricevuto l’incarico di tutelare gli interessi di chi non è riuscito a ricadere nei 130mila casi presi in carico dalle misure d’emergenza varate dal governo. Molti di più, però, sarebbero quelli ancora abbandonati al loro destino, presi nel limbo tra posto di lavoro e trattamento pensionistico. Addirittura il doppio – circa 250mila – di quelli sino a oggi tratti in salvo, secondo alcune stime comunque non confermate.
Di fronte a questo stato persistente, gli esodati hanno infine deciso di dire basta: “Da dodici mesi viviamo in un clima di incertezza e con l’impossibilità di programmare il nostro futuro. Non sappiamo di che morte morire”, ha sottolineato con amarezza Francesco Flore, rappresentante del Comitato Nazionale Contributori Volontari. “Siamo quelli che hanno subito più pesantemente gli effetti della riforma – contrinua Flore – dietro di noi non ci sono sindacati o associazioni che fanno pressing sul governo”.
Questo gruppo di rappresentanza comprende tutti gli esodati che, in forma del tutto autonoma, hanno proseguito con il versamento dei contributi al fine di raggiungere il tetto minimo per entrare nei parametri di pensionamento, e questo in base a patti stretti con le loro precedenti proprietà. La scelta della studio emiliano non è stata casuale: si tratta dello stesso pool di legali che è riuscito a ottenere il reintegro dei lavoratori Fiom di Pomigliano. Ora, dunque, un nuova, dura prova per questo blasonato studio, che dovrà sostenere in aula le ragioni degli esodati, chiedendo il riconoscimento, in cagione del governo, di danni morali e mobbing.
File, quelle tra i non salvaguardati in odore di vie legali, che hanno visto accodarsi anche il comitato dei Quindicenni, coloro, cioè, che avevano maturato i requisiti di 15 anni di contributi entro il 1992 per vedersi riconosciuti a 65 primavere i diritti per il ritiro dal lavoro. Anche per costoro, in apparenza fortunati, le nuove leggi del welfare italiano hanno scaturito una situazione di assoluta incertezza, poiché dopo diverso tempo è stato il minimo di contributi è stato innalzato a 20 anni – e non più 15 – per accedere al regime pensionistico, obbligando persone ormai fuori dal mercato di mettersi in cerca di un’occupazione per soddisfare i nuovi requisiti. Insomma, sono i baby-esodati, quelli che hanno sperimentato l’abbandono dello stato sociale prima dei tantissimi scaturiti dalla riforma Fornero e con i quali, adesso, hanno intenzione di fare fronte comune.
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