La ragione è presto detta: il numero degli esodati è talmente esteso da costituire un potenziale bacino di consenso per chiunque dimostri di prendersi in carico il problema. Al di là del mero cinismo da elezioni, è vero, però, che in queste settimane sono stati compiuti passi fondamentali, quantomeno per la messa in salvo dei 130mila tutelati dallo Stato con i vari decreti emanati nel corso del 2012.
Ora, dunque, è scattato il conto alla rovescia per i primi 65mila esodati, che si vedranno recapitare – secondo quanto annunciato dal ministro Fornero – nei primi giorni di febbraio la comunicazione di ammissione al trattamento pensionistico secondo le vecchie regole, in vigore prima della riforma previdenziale di fine 2011.
Ancora, però, restano privi di qualsiasi tutela decine, forse centinaia di migliaia di ex lavoratori impossibilitati a entrare sotto le “cure” dell’Inps, il quale, già mesi fa, non aveva fatto mistero della quantità enorme di contribuenti che la falla avrebbe finito per intaccare (si era parlato anche di 400mila unità).
Dunque, i paventati 150mila “nuovi” esodati di cui si parla in queste ore, erano effettivamente già inclusi nelle seppur abbozzate stime di quasi un anno fa. Per questo, il ministro Fornero nei giorni scorsi ha polemizzato con chi ha improvvisamente criticato i rimedi del governo come insufficienti a coprire l’intera platea degli esodati, ricordando senza tentennamenti che “il numero era già noto da tempo”.
A questo proposito, anche l’Inps, tirata in ballo dallo stesso ministro, tramite il presidente Antonio Mastrapasqua, ha ricordato che sulla quantità di esodati “non ci sono novità, le platee rimangono le stesse”, difendendo le misure adottate dal governo Monti, l’ultima, in ordine di tempo, quella contenuta in legge di stabilità, che ha allargato il paracadute per altri 10.130 lavoratori.
Così, le recenti uscite di Bersani e di altri politici sembrano un po’ troppo calcolate, dopo che, per mesi, la questione è stata all’ordine del giorno dei tavoli tecnici istituzionali e, primo tra tutti, del Parlamento.
Forse, il segretario del Pd farebbe meglio a ricordare la proposta che proprio uno dei suoi compagni di partito, l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, aveva avanzato – incassando l’ok a larga maggioranza in Commissione – per garantire il rientro di tutti gli esodati entro i ranghi del welfare, dai primi sorti con la riforma Sacconi fino alla voragine aperta dalla legge Fornero.
Purtroppo, però, il documento di Damiano è stato archiviato dopo il “niet” della Corte dei conti, che ha ritenuto il piano di realizzazione troppo oneroso per le casse dello Stato, in tempi di instabilità economica e di esposizione sui mercati.
Così, sulla pelle degli esodati si è giocata una partita cruciale, che deve fungere da insegnamento soprattutto per il governo a venire: in nome dello spread, e per mettere al riparo i conti pubblici da eventuali speculazioni finanziarie internazionali, si è preferito lasciare nel limbo centinaia di migliaia di lavoratori che, nella maggior parte dei casi, dopo decenni di lavoro e di contributi regolarmente versati, si vedono abbandonati da uno Stato ormai asservito a logiche di mercato lontane, per non dire estranee, alla prospettiva del singolo cittadino.
Dunque, lasciando da parte eventuali opportunità elettorali, forse il segretario del Pd – e probabile futuro premier – male non farebbe a pronunciare queste parole: “L’insicurezza sociale di migliaia di persone e delle loro famiglie non si può barattare con la stabilità degli indici di borsa”.
Di fronte a tragedie di tali proporzioni, un partito che si professa “riformista” dovrebbe pensare prima alle persone, poi alla finanza: se davvero il candidato democratico vuole marcare una discontinuità con Monti e i suoi per allontanare i sospetti da eventuali “inciuci” post-voto, meglio farebbe ad affrontare la questione esodati su questo piano.
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