La legge sul governo del territorio della Regione Lombardia è incostituzionale poiché non si limita alla programmazione e alla realizzazione dei luoghi di culto ma introduce regole che ostacolano la libertà di religione imponendo requisiti diversi per l’esercizio del culto a seconda che le confessioni religiose abbiano firmato o meno un accordo con lo Stato. Corte costituzionale, sentenza 24 marzo 2016, n. 63.
La Presidenza del Consiglio dei ministri solleva la questione di legittimità costituzionale in merito ad una legge della Regione Lombardia del 2015 sul governo del territorio.
In particolare le modifiche apportate alla legge urbanistica del 2005 riguardano la costruzione di edifici di culto e prevedono che le norme per l’edificazione di tali strutture si applichino : alla Chiesa cattolica; alle confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato; a tutte le altre confessioni religiose, prive di intesa, che devono però dimostrare di possedere determinati requisiti (ad es., presenza diffusa sul territorio, statuti che rispettano la Costituzione, etc.). Inoltre l’installazione di nuove strutture religiose presuppone l’approvazione di un apposito “piano” sovracomunale che stabilisce: l’installazione di impianti di videosorveglianza esterni agli edifici ; i requisiti architettonici degli stessi, secondo le caratteristiche peculiari del paesaggio lombardo.
Secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri le nuove norme sono discriminatorie nei confronti delle confessioni religiose che non hanno stipulato accordi con lo Stato, violando in tal modo il principio costituzionale di parità di trattamento di tutte le confessioni religiose e sono inoltre lesive di alcune prerogative che la Costituzione riserva in via esclusiva allo Stato come l’ordine pubblico e la sicurezza.
La Corte costituzionale accoglie il ricorso della Presidenza del Consiglio e chiarisce che:
– l’ordinamento italiano è ispirato alla laicità dello Stato, da intendersi non come indifferenza nei confronti della religione, ma come salvaguardia della libertà religiosa di tutti, in regime di pluralismo confessionale e culturale, poiché il libero esercizio del culto è riconosciuto ugualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose;
– il legislatore non può quindi discriminare tra confessioni religiose in base al fatto che esse abbiano o meno regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese; il concordato o l’intesa non costituiscono la condizione per l’esercizio della libertà religiosa poiché gli accordi bilaterali hanno invece il fine di soddisfare esigenze specifiche, come concedere vantaggi o dare rilevanza a specifici atti, come gli effetti civili, propri delle confessioni religiose;
– l’apertura di luoghi di culto rientra nella tutela prevista dall’art. 19 della Costituzione, secondo cui tutti hanno diritto di professare la propria fede religiosa, in qualunque forma, e di esercitare il culto in pubblico o in privato, con l’unico limite del rispetto del buon costume;
– ciò però non vuol dire che a tutte le confessioni religiose debba essere garantita un’uguale porzione di contributi o sovvenzioni o uguali spazi per il culto. Se si distribuiscono utilità limitate, come i contributi pubblici o il consumo di suolo, è naturale valutare gli interessi pubblici in gioco così come l’entità della presenza sul territorio e l’impatto sociale delle diverse religioni;
– le novità introdotte dalla Regione Lombardia esorbitano dalle sue competenze, poiché non si limitano alla programmazione e alla realizzazione dei luoghi di culto, dato che in realtà introducono regole che ostacolano la libertà di religione perché impongono requisiti diversi per l’esercizio del culto a seconda che le confessioni religiose abbiamo firmato o meno un accordo con lo Stato;
– eccedono i limiti delle competenze regionali anche le disposizioni sui sistemi di videosorveglianza collegati agli uffici della polizia locale poiché trattandosi di ordine pubblico e sicurezza riguardano materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato;
– il riferimento al paesaggio lombardo non è un criterio estetico soggettivo ed estemporaneo ma è incastonato nelle previsioni paesaggistiche del piano territoriale regionale previsto dalle leggi urbanistiche ma, specifica la Consulta, se vi fosse, “un eventuale cattivo uso della discrezionalità programmatoria” finalizzato “a penalizzare surrettiziamente l’insediamento delle attrezzature religiose, potrà essere censurato nelle sedi competenti”.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento