La confisca per equivalente di cui all’articolo 19, comma secondo, del D.Lgs. n.231 del 2001 non può dunque disporsi sui beni della società per violazioni fiscali connesse dal suo legale rappresentante in virtù della constatazione che gli articoli 24 e seguenti dello stesso decreto legislativo del 2001 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie criminose che siano in grado di giustificare il suddetto provvedimento.
Unica eccezione a tale non applicabilità della confisca per equivalente si ha nell’ipotesi in cui la struttura societaria sia in realtà una mera costruzione fittizia utilizzata dal reo per commettere gli illeciti, poiché in una tale ipotesi ogni bene intestato alla società sarebbe immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato. Tale orientamento può peraltro considerarsi ormai consolidato presso i giudici del Palazzaccio, i quali, dopo un primo approccio difforme, hanno con una serie di arresti privi di oscillazioni confermato l’impossibilità di intendere il “rapporto organico” quale meccanismo sufficiente di identificazione ai fini penali (cfr. anche Cass. Sez. III, 3 aprile 2013 n.15349, Cass. Sez. III 10 gennaio 2012 n.1256 e Cass. Sez. III 14 giugno 2012 n. 25774).
L’impossibilità di disporre il sequestro preventivo (e la confisca per equivalente, alla quale il sequestro preventivo è “teleologicamente avvinto”) in tali ipotesi non può nemmeno superarsi, come invano tenta di fare il ricorrente nel giudizio di cui alla sentenza in commento, argomentando a favore della natura di “misura di sicurezza” della confisca. I giudizi della Cassazione chiariscono infatti come, pur dovendosi evidenziare la natura sui generis e “mista” della confisca per equivalente, la stessa vada sussunta all’interno della disciplina del più prossimo tra i generi “ordinari”, che nel caso in questione è senza dubbio la sanzione. La natura della confisca è infatti proiettata in retrospettiva verso un’attività criminosa già consumata, dunque retroagisce, in una consequenzialità all’illecito che è tipica del genus sanzionatorio e non di quello della misura di sicurezza, avente invece natura preventiva e prognostica.
Per meglio comprendere la pronuncia della Suprema Corte è comunque opportuno soffermarsi brevemente sull’istituto della confisca per equivalente, quale prevista dal codice penale in via generale e dal disposto dell’art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 231/2001, quale sanzione amministrativa per le società nei casi previsti dallo stesso decreto legislativo. In base all’attuale disposto normativo, la persona giuridica che dal reato ha tratto beneficio non può considerarsi come “persona estranea al reato”, essendo pertanto possibile che la stessa società sia destinataria di un sequestro preventivo ex 321 c.p.p., finalizzato alla confisca dei beni che costituiscono profitto o prezzo del reato, così come disposto dall’art. 322-ter del codice penale. Non è invece possibile disporre il diverso provvedimento della “confisca per equivalente”, anch’essa prevista dal sopra citato articolo 322-ter c.p., vale a dire la confisca che non riguarda i beni che costituiscono prezzo o profitto del reato, ma altri beni per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
Occorre considerare che l’applicabilità diretta della norma codicistica dell’art. 322-ter all’ipotesi di reati tributari è esplicitamente prevista dall’art. 1, comma 143, della Legge 244 del 2007, il quale recita che “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”, estendendo dunque la misura normativa di cui all’art. 322-ter c.p. ai reati fiscali di cui al D.Lgs. 74/2000 ad eccezione di quelli di distruzione ed occultamento di scritture contabili (sanzionati dall’art. 10 del sopra citato decreto).
Un tale riferimento al disposto dell’art. 322-ter c.p. non vale tuttavia di per sé a considerare applicabile l’istituto della confisca per equivalente ai beni societari, in quanto è proprio la lettera di tale norma codicistica che riferisce questo preciso provvedimento specificamente a quei beni “di cui il reo ha la disponibilità”. Se infatti da un lato è naturale che il “reo” vada identificato nella persona fisica che ha commesso il reato, essendo l’ente naturalmente privo di ogni responsabilità penale, dall’altro i giudici della Suprema Corte non considerano il “rapporto organico” tra legale rappresentante/manager e società tale da poter permettere di configurare in capo al primo una disponibilità dei beni della seconda, rendendo dunque inapplicabile in via immediata la confisca per equivalente sui beni della società (una tale “disponibilità” dei beni si configurerebbe invece, rendendo possibile la confisca per equivalente sui “beni societari”, nel caso in cui la struttura societaria sia un apparato fittizio utilizzato dal legale rappresentante per commettere gli illeciti, una c.d. società schermo).
Il problema dunque si presenta rievocando in tutta la sua portata il tema della ”alterità soggettiva”, il punctum dolens riguarda “l’identificazione della misura e della modalità con cui un soggetto che non è persona fisica, e che pertanto non può essere reo di alcun reato, incede nel sistema penale per subire le conseguenze di un reato commesso in suo favore”. In un sistema come quello normativo penale, in cui la responsabilità per la condotta illecita è personale ed individuale, quindi non riferibile ad un ente collettivo come la società, e parimenti personali ed individuali sono le sanzioni conseguenti (ove le stesse non siano solo pecuniarie), occorre un adeguamento specifico che trovi forza nella legge per superare la fictio iuris dell’alterità soggettiva e configurare in capo alla persona giuridica una responsabilità (pur se solo amministrativa) che discenda dall’illecito commesso dalla persona fisica a vantaggio dell’ente collettivo.
Tale specifico adeguamento è stato operato dal legislatore proprio con il D.Lgs n.231 del 2001, con il quale si è disciplinata la peculiare responsabilità amministrativa che a carico della società discende da un illecito penale commesso dal suo legale rappresentante-amministratore, estendendo di tal modo l’effetto del rapporto organico ai fini di una responsabilità strettamente personale, così da identificare l’ente nella persona fisica che commette il reato a suo vantaggio.
E’ proprio in tale specifica norma di adeguamento che taluno ha cercato di individuare una “seconda via” che consentisse all’istituto della confisca per equivalente di applicarsi sui beni societari in caso di reati fiscali commessi dal legale rappresentante. Ma una tale tesi è stata prontamente sconfessata dai giudici di legittimità i quali, con la pronuncia in commento, evidenziano ancora una volta come il D. Lgs. 231/2001 preveda la responsabilità dell’ente per i reati commessi a suo vantaggio solo nelle fattispecie specificamente previste dagli articoli 24 e seguenti dello stesso decreto legislativo, articoli che non includono affatto i reati di tipo fiscale. I giudici del Palazzaccio sottolineano dunque come solo un intervento legislativo che preveda espressamente la responsabilità della persona giuridica per i reati tributari commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente possa rendere applicabile a tali fattispecie la confisca per equivalente quale disposta dall’art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 231/2001.
Un’interpretazione estensiva/creativa del disposto del decreto legislativo n.231 che prescindesse da un intervento legislativo specifico estenderebbe in malam partem, ed in palese violazione del principio di legalità, la misura punitiva della confisca per equivalente in relazione ad ipotesi che la legge non ha previsto espressamente. Né, come rimarcato dai giudici nella sentenza in commento, sarebbe utile rimettere la questione alle Sezioni Unite, poiché la questione in esame riguarda la responsabilità amministrativa (o “para-penale”) della persona giuridica in relazione a reati fiscali commessi a suo vantaggio e la nomofilachia non può, pur se nel suo livello più alto, “esorbitare in nomopoiesi, assumendo, tramite la maschera del ed. diritto vivente, compiti e responsabilità riservati al legislatore”.
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