Come noto, ieri ha ricevuto prima l’ok definitivo la legge delega di riforma della PA, da circa un anno al vaglio del Parlamento e ora finalmente portata in approvazione in terza lettura, dopo alcune impasse che ne hanno messo in pericolo l’arrivo a destinazione.
In serata, infine, è toccato anche al decreto enti locali, il 78/2015, ottenere il via libera tanto atteso. E pensare che, dei due, questo era sicuramente il provvedimento più urgente, in scadenza tra appena 48 ore, venerdì 7 agosto.
Entro quella data, dunque, il testo dovrà essere giocoforza pubblicato in Gazzetta Ufficiale, pena la decadenza dell’atto in qualità di valore normativo. Una volta ottenuto l’ok del Parlamento, comunque, sarà una formalità che presidente della Repubblica e organi deputati dovranno sbrigare in fretta, ma senza troppi patemi.
Le coperture economiche, infatti, non dovrebbero costituire un problema di riflessione in sede di controfirma dell’atto di legge, dal momento che, semmai, è sul fronte opposto che potrebbe muoversi l’attenzione del Capo dello Stato. Il provvedimento, infatti, come i più attenti ricorderanno, libera fino a 2,35 miliardi di risorse dal budget della sanità, con ricadute anche su ospedali e strutture mediche.
Cosa cambia nella sanità con il decreto
Con il nuovo provvedimento, le Regioni avranno la facoltà di munirsi di misure alternative per recuperare i fondi ridotti dal governo centrale. Toccherà innanzitutto alle Aziende sanitarie e agli enti rinegoziare i contratti e gli accordi stipulati con i fornitori di servizi e beni destinati alle strutture sanitarie: ciò sarà concesso per garantire un rientro pari al 5% della spesa sanitaria.
Per favorire questo processo, il decreto 78 postula la possibilità per le Regioni di recedere dal contratto, qualora non si raggiunga un accordo più conveniente per il Servizio pubblico. Toccherà poi alle stesse aziende tagliare le risorse destinate al personale sanitario, che andranno a toccare rimborsi, straordinari e premi a infermieri e medici.
Visite. Il governo ha varato alcune linee guida per individuare le condizioni di erogabilità di certe prestazioni, in particolare le visite specialistiche e gli esami in ambulatorio. Toccherà ai medici segnalare la nacessità o l’urgenza di controlli approfonditi, anche se al momento non sono state diramate idnicazioni precise come tetti a visite o esami per ciascun paziente.
Sicuramente, in caso di esami non necessari il medico potrà incappare in un provvedimento disciplinare, con penalizzazioni di tipo retributivo, qualora non riuscissero a giustificare la decisione presa.
L’obiettivo del governo è chiaro: ridurre del 15% gli esami di tipo diagnostico, al fine di eliminare una delle voci indicate quali responsabili principali degli sprechi in sanità. E’ possibile che questa situazione possa generare l’obbligo di pagare per i cittadini al fine di sottoporsi a esami i non necessari. Allo stesso modo, si indica di stringere ancora di più le permanenza in degenza da parte dei pazienti ricoverati, con ricadute pesanti specie sulle strutture private, che, in caso di ricoveri ingiustificati, potrebbero subire dei tagli pesanti ai rimborsi.
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