La dichiarazione non ha quindi valore confessorio, essa non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria ma si inserisce nell’ambito di un più complesso procedimento di accertamento e di riscossione: un sistema legislativo che intendesse negare in radice la possibilità di rettificare la dichiarazione darebbe luogo ad un prelievo fiscale indebito e non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97 della Costituzione).
La Corte di Cassazione afferma, infine, che da questi principi debba, logicamente, desumersi, anche sulla base anche di precedenti conformi (Sentenze della Corte di Cassazione n. 22021 del 13 ottobre 2006 e n. 10055 dell’1 agosto 2000), il principio secondo il quale “la possibilità del contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione Finanziaria”.
La più recente sentenza della Suprema Corte n. 7294 dell’ 11 maggio 2012 limita in qualche modo la portata di una giurisprudenza ormai consolidata sostenendo che la possibilità di ritrattare è circoscritta a quegli errori riconducibili ad una non corretta esternazione di scienza e di giudizio, rimanendone preclusa, però, in relazione a quegli errori riferibili ad una manifestazione di volontà negoziale (quali, ad esempio, quelli riconducibili all’esercizio di una facoltà di opzione) .
Estratto Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 31 gennaio 2011, n. 2226
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ripetutamente affermato che “la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sìa esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile “ratione temporis”, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare. L’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; l’art. 9, commi settimo e ottavo, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente, applicabili ratione temporis, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dai contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva – art. 53 Cost., comma 1 – e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa – art. 97 Cost., comma 1″ (così SSUU n. 15063 del 2002 e vedi anche successivamente SSUU n. 17394 del 2002).
È ancora da precisare che dal principio sopra esposto la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha tratto come logico corollario che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitatale non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (v. Cass. n. 22021 del 2006, peraltro in precedenza v. anche, in parte, n. 10055 del 2000).
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento