Elezioni politiche 2013, Monti in campo con lista e chance Quirinale

La decisione era nell’aria da alcuni giorni e alla fine è arrivata, anche se per ora in via ufficiosa, portando con sé già i primi strascichi polemici: Mario Monti sarà in campo alle prossime elezioni politiche. A frenare il Capo del governo dall’annuncio, il rallentamento subito dalla legge di stabilità, alla cui approvazione finale sono vincolate, come noto, le dimissioni in blocco dell’esecutivo.

C’è, però, un distinguo sull’ormai certa candidatura, che non dissipa l’incertezza sul quadro di partiti e alleanze pronto a costituirsi nelle prossime, infuocate settimane. A quanto emerge dalle prime indiscrezioni, infatti, il premier non correrà personalmente, pur giocando, in campagna elettorale, il ruolo di “spettatore interessato”.

Sul piano formale, la posizione assunta da Monti è coerente con quanto anticipato da Giorgio Napolitano nei giorni scorsi, ossia che, al rinnovo delle Camere parlamentari, il presidente del Consiglio in carica non potrà avanzare sul piano formale una propria candidatura, essendogli già assicurato un posto da senatore a vita.

Eppure, la sua volontà di impegnarsi con un profilo che, a questo punto, esula dall’aurea tecnica per assumere connotati più spiccatamente politici, lo espone a svolgere una parte decisiva nella determinazione del prossimo quadro istituzionale.

Innanzitutto, viene da chiedersi: quali forze appoggeranno la corsa di Monti? Sicuramente, la falange centrista guidata dall’Udc di Pierferdinando Casini, Futuro e Libertà e il movimento-partito di Luca Cordero di Montezemolo Italia Futura.

Ma si dice già che il premier stia pensando a una quota di suoi candidati, la quale potrebbe anche sfociare, di qui a poco, in una ipotetica “Lista Monti”, che potrebbe pompare voti nei serbatoi della coalizione.

In realtà, solo con il supporto del Professore, come mostrato ieri sera dai sondaggi Ipsos nella trasmissione Ballarò, le forze di Fini, Casini e del presidente di casa Ferrari guadagnerebbero un surplus di voti rispetto al proprio bacino “naturale”.

Mettendo a confronto gli ipotetici seggi, si nota come la discesa del Professore danneggerebbe in realtà il rassemblement – come ama nominarlo in questi giorni Berlusconi – di Pdl, Lega Nord e La Destra, che passerebbe dai 100 seggi al Senato ai “soli” 88 con l’effetto Monti.

Perché il Senato? Il motivo risiede nella legge elettorale che i partiti hanno mantenuto in vita con l’indecoroso spettacolo del rinvio “ad libitum”: mentre alla Camera il predominio per Pd e Sel è più che assicurato grazie al premio di maggioranza, a palazzo Madama si giocherà la vera partita, prima e dopo le elezioni, in virtù dell’attribuzione dei seggi su base regionale, che mette fortemente in pericolo la coalizione di centrosinistra.

Ecco, dunque, che la discesa in campo di Monti finirebbe, sempre secondo Ipsos, per spostare la bilancia a favore di una composizione più moderata dell’assemblea, strappando diversi senatori all’armata Berlusconi e garantendo, dunque, qualche chance in più per un eventuale esecutivo guidato da Pier Luigi Bersani.

Non a caso, l’impegno di Monti è temuto principalmente proprio dal Cavaliere, che non intende ridurre l’influenza della propria fazione politica a favore di una linea che potrebbe non osteggiare troppo un governo “altro”, in ogni caso destinato ad avere dna politico, a sentire le ultime parole del Capo dello Stato.

Dunque, Monti fuori dalla corsa per palazzo Chigi? Sicuramente non ancora, visto che il suo impegno – e quello dei partiti che lo sosterranno – andrà proprio in questa direzione, almeno in superficie.

Sottotraccia, però, c’è un altro, fondamentale appuntamento che seguirà di poche settimane il rinnovo di Camera e Senato: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Ecco, dunque, che la figura di Monti potrebbe proprio sancire quella tregua politica tanto invocata per consentire una seppur flebile governabilità al prossimo esecutivo, non già come nuovo capo del Governo, ma come inquilino del Quirinale per i prossimi sette anni.

In questo modo, dunque, l’arco moderato vedrebbe il proprio favorito eletto al vertice dello Stato, in una posizione di continuità anche sul piano internazionale, come rivendicato a più riprese dai montiani doc, mentre la coalizione di centrosinistra sarebbe in grado di dare vita a un governo che non rifiuterà, all’occorrenza, il soccorso moderato a palazzo Madama, in caso scarsità numerica.

Restano due variabili in questo scenario ancora prematuro, ma tutt’altro che fantapolitico: una è Nichi Vendola, che appoggerà la corsa di Bersani pur avendo osteggiato l’agenda del premier nei mesi scorsi e, l’altra, è naturalmente Berlusconi. Difficilmente il Cavaliere si rassegnerà al ruolo di comparsa e, allora, è lecito attendersi nuovi e sfolgoranti fuochi d’artificio nelle prossime intense settimane di campagna.

 

Francesco Maltoni

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