Nello specifico, comunica il Viminale, sono stati 34 i marchi ricusati mentre in 16 sono stati esclusi dalla competizione elettorale. Per questi ultimi, decisiva la carenza di documentazione al momento del deposito: ragione sufficiente per convincere i funzionari del Ministero a rilevare fin d’ora l’assenza dei requisiti minimi per la partecipazione alla tornata.
Storia diversa, invece, per i simboli riusati, i cui firmatari sono stati invitati alla sostituzione nell’arco delle 48 ore consentite dal regolamento elettorale, che riconosce la possibilità di modificare significativamente la veste grafica, ma in tempi rapidissimi.
Secondo quanto prevedono le norme inserite nel Procedimento elettorale preparatorio, per la presenza del marchio nelal scheda elettorale “è vietato il deposito di contrassegni confondibili con altri già depositati o con simboli, elementi o diciture usati tradizionalmente da altri partiti. Non è ammessa la presentazione di contrassegni effettuata al solo scopo di precluderne l’uso ad altri”.
Così, insomma, si spiega l’ampia scrematura messa in atto dal Ministero, anche nei confronti delle liste clone di Rivoluzione civile (il raggruppamento guidato da Antonio Ingroia) o il MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo che si sono trovati, nei giorni scorsi, addirittura anticipati nella consegna da simboli fotocopia smaccatamente ispirati ai “loro” emblemi.
Com’era nelle previsioni, questi marchi sono finiti dritti nel calderone di quelli ricusati benché, da regolamento, siano arrivati al Viminale prima dei diretti contendenti (articolo 14 Testo Unico elezione alla Camera): a fare fede, secondo la legge, non è soltanto il principio temporale, bensì va considerata la notorietà del contrassegno (comma 5). Il principio resta valido anche se si tratta dell’esordio assoluto alle elezioni politiche, come, appunto, nel caso dei movimenti di Grillo e Ingroia.
Da quanto trapela, anche l’esposto presentato dalla Lega Nord contro le liste civetta dovrebbe essere andato a buon fine: nel mirino del Carroccio erano finiti tre simboli in particolare, quelli di “Prima il nord”, “Lega veneta Repubblica” e “Lega padana”, un po’ troppo simili allo storico identificativo del partito oggi guidato da Bobo Maroni.
In compenso, anche l’originale leghista è stato “rimandato”: sotto la lente dei funzionari del ministero, la scritta “TreMonti”, con evidente richiamo implicito al presidente del Consiglio uscente per via della “M” maiuscola. Altra vittoria per il premier in carica, l’esclusione del marchio “Per l’Europa – Monti presidente”, a guida di certo Samuele Monti.
Insomma, circa un simbolo su quattro è stato rispedito al mittente, e per 16 di questi è arrivata una bocciatura senza possibilità di appello. Per i ricusati, le strade sono due: modificare il simbolo in modo che risulti distinguibile con facilità, oppure ricorrere in Cassazione, all’Ufficio centrale nazionale, che avrà sempre un termine massimo di 48 ore per emanare un giudizio definitivo in merito.
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