Elezioni Amministrative: le città al voto tra astensione e… referendum

L’Italia torna al voto. È ormai tutto pronto per le elezioni amministrtative 2016 di domenica 5 giugno, tornata che segnerà un nuovo giro di boa nella politica italiana, in attesa del referendum costituzionale in calendario a ottobre.

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Con partiti già proiettati verso il voto sulle riforme, infatti, la chiamata alle urne di domenica prossima costituisce, sì, un test per il prosieguo dell’attività di governo, ma soprattutto un aperitivo dell’infuocata campagna referendaria che terrà banco nei prossimi mesi. L’esito delle comunali a favore di uno schieramento o dell’altro, infatti, potrà causare cambi di strategia e svolte improvvise, in vista del “D-day” autunnale.

In realtà, domenica la posta in gioco è molto alta e i leader lo sanno: non soltanto alle urne saranno chiamati 14 milioni di cittadini (circa il 30% dell’intero corpo elettorale), ma verranno rinnovati sindaci e Consigli comunali delle principali città da nord a sud. Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Cagliari, Ravenna, Rimini, Salerno, Trieste sono solo alcuni dei 26 capoluoghi provinciali giunti a fine mandato. In tutto, saranno 1372 i Comuni coinvolti: quelli con popolazione superiore a 15mila abitanti, qualora nessun candidato raggiunga la maggioranza assoluta, riapriranno i seggi il 19 giugno, per il ballottaggio tra i primi due classificati.

Ovviamente, i fari della politica e dei grandi mezzi di comunicazione sono tutti sulle maggiori sfide metropolitane, a cominciare da Roma e Milano, le due capitali, quella amministrativa e quella economica, in grado di spostare gli equilibri della politica nazionale. A ruota, gli altri grandi centri presentano sfide nuove o già viste, con possibili stravolgimenti nelle maggioranze locali.

Vediamo dunque candidati, scenari e favoriti nelle principali città che cambieranno sindaco.

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Roma. Potrebbe davvero essere la volta del MoVimento 5 stelle? In pole position, dopo gli scandali di Mafia capitale, il caos nelle periferie e gli imbarazzi della giunta Marino, c’è Virginia Raggi, avvocato 37enne che potrebbe portare il partito di Grillo – orfano di Casaleggio – al primo grande ruolo elettivo di rilievo nazionale. A contrastarla, un Roberto Giachetti dato in rimonta, sostenuto da una coalizione a guida Pd, ma chiamato a fare i conti con un’eredità pesante. Così come non è semplice la posizione di Giorgia Meloni, 39 anni e già una lunga carriera politica alle spalle, sostenuta da Fratelli d’Italia e Matteo Salvini, alle prese con la “scomoda” candidatura di Alfio Marchini, sposata da Silvio Berlusconi dopo il passo indietro di Guido Bertolaso. Se appare certa la presenza della candidata M5S al ballottaggio, assai più incerto è il nome del suo sfidante, che dovrebbe comunque rientrare tra quelli elencati. Nessuna speranza, infatti, per gli altri nove candidati, tra cui spiccano Stefano Fassina e Mario Adinolfi.

Milano. Quadro opposto nel capoluogo lombardo, dove la sfida tra i primi della classe ha il sapore della Seconda Repubblica: a contendersi palazzo Marino, infatti, saranno un candidato di centrosinistra e uno di centrodestra, con il grillino Gianluca Corrado tagliato fuori dalla corsa. Per Partito democratico e alleati, sulla scheda andrà il nome di Beppe Sala, vincitore delle primarie e già commissario unico di Expo 2015. Dall’altro lato, invece, i riuniti Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia puntano tutte le proprie carte su Stefano Parisi, manager dal curriculum molto simile a quello del Cavaliere, tra ruoli istituzionali e investimenti nel campo dei media. Tutto lascia intendere che il vincitore tra Sala e Parisi, appaiati secondo i sondaggi, verrà decretato il 19 giugno al secondo turno. La sensazione è che quella milanese sia la sfida più politicizzata tra le maggiori città: se prevarrà la soddisfazione per i cinque anni di Pisapia, allora potrebbe spuntarla Sala, altrimenti Duomo e Madonnina torneranno al centrodestra come fu per vent’anni, prima della svolta 2011.

Torino. In “seconda fascia” per clamore mediatico, ma certo non per rilevanza economica e politica, è anche l’elezione del nuovo sindaco sotto la Mole, che vede l’uscente Piero Fassino in cerca della riconferma. Se cinque anni or sono l’ex ministro e ultimo segretario dei Ds si era imposto al primo turno con un sonoro 56% di voti, stavolta l’impressione è che dovrà sudare un po’ di più. Pur favoritissimo, Fassino non può infatti escludere il round al ballottaggio con la candidata del M5S Chiara Appendino, 31enne laureata alla Bocconi ed ex dipendente della Juventus. Staccati, invece, i candidati di centrodestra che pagano la frammentazione: Osvaldo Napoli è portabandiera di Forza Italia, Alberto Morano il preferito di Lega e FdI, mentre addirittura le liste di Forza Nuova e Casa Pound presentano ciascuna il proprio candidato.

Napoli. L’ex pm Luigi De Magistris, diventato a sorpresa sindaco della capitale del sud, è pronto a un nuovo mandato fino al 2021, nonostante la sua poltrona abbia traballato non poco negli ultimi tempi, per via di grane giudiziarie ora alle spalle. Il replay di cinque anni fa può essere completo se davvero, come sembra, De Magistris se la vedrà al ballottaggio contro Gianni Lettieri, già sconfitto nella precedente occasione e purtuttavia rispolverato da Forza Italia alle amministrative partenopee. In salita il MoVimento 5 Stelle con Matteo Brambilla, che, se dovesse riuscire nell’impresa di superare Lettieri e giocarsela al testa a testa del 19 giugno, potrebbe impensierire l’ex pubblico ministero.

Bologna. In terra emiliana, non si prevedono scossoni,con la fascia tricolore destinata per altri cinque anni  a Virginio Merola, dato vincente forse già al primo turno. Alle sue spalle, però, con la crescita della Lega Nord – complice un crescente allarme sociale in città per le frequenti “spaccate” a negozi e vandalismo – la candidata del centrodestra Lucia Borgonzoni prenota la seconda piazza, sperando di giocarsi tutto al ballottaggio. Più indietro, nel ruolo di terzo incomodo, Massimo Bugani del M5S, partito che sembra aver perso un po’ di smalto sotto le due torri.

Su questi Comuni, e su tutti gli altri al voto, però, aleggia uno spettro: quello dell’astensionismo. Alle elezioni amministrative del 2014, con le europee in contemporanea, non venne sfondato il muro del 60% e alle regionali dello scorso anno appena il 52% degli aventi diritto si recò alle urne. Se questo trend in atto da diversi anni dovesse proseguire, vittoria o no, ballottaggio o no, saranno ben pochi, domenica sera, a poter cantare vittoria.

Francesco Maltoni

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