Stando così le cose sembrerebbe che il grande sconfitto sia Bersani e il Pd, entrambi privi della leadership che in queste settimane sembrava l’unico dato certo di questa campagna elettorale. Bisogna però prestare attenzione a queste percentuali e dati che, non sono certo improvvisati, ma affondano la loro solidità su sistemi non fondati sull’oggettività ma sulla capacità di previsione.
Quello che emerge al momento dallo spoglio reale è uno scenario ancora diverso rispetto a quest’ultimo, in linea con quelle che erano le attese della vigilia, seppure con le debite eccezioni; infatti il Pd resta, seppur di poco, il primo partito italiano con il 30,87 al Senato e il 29,48 alla Camera, tallonato da vicino però da un sorprendente M5S che va ben al di la di quota 20% e si attesta sul 24,5% al Senato e sul 26,7% alla Camera.
In tutto questo nonostante la Lombardia, ritenuta da molti l’ago della bilancia, stia pendendo a favore del Pd il futuro sembra ancora incerto, però i dati del ministero smentiscono in ogni caso il trend delle proiezioni che sembra addirittura utopistico; la vittoria al Senato del Pdl dovrebbe dunque essere quasi impossibile ma sicuramente la vittoria del Pd risulta ridimensionata e dunque rimane quell’equilibrio che si era ipotizzato dai sondaggi.
Al momento la confusione la fa da padrone, da ogni parte si sentono proclami di vittoria, si è passati dai commenti entusiastici del Pd per gli exit poll, si è parlato addirittura di fine di un’era, passando per Grillo che ammetteva candidamente “siamo il primo partito d’Italia, siamo una epidemia”. Il Pdl, invece, fa muro e si lascia sfuggire poche dichiarazioni vista la forbice surreale fra proiezioni, che lo vorrebbero vincente e i dati dello scrutinio che rischiano di relegarlo al terzo gradino del podio.
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