Il voto di ieri, comunque, non è stato né rituale né tanto meno vano: si è rivelato anzi utile nel dispiegare la rosa di almeno quattro candidati principali, e così nel misurarne peso e valore. Rimane un sostegno vigoroso all’’italiano Angelo Scola insieme alla spinta altrettanto forte per l’elezione di un “candidato americano”: il cardinale canadese Marc Ouellet, poliglotta conoscitore dell’America Latina; uno dei porporati statunitensi, il newyorkese Dolan o il cappuccino di Boston Sean O’Malley, ma anche il cardinale Donald Wuerl, direttamente da Washington; infine il brasiliano tradizionalista Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo. In tal caso, però entra in gioco il pericolo dello sbarramento reciproco, quasi dei “veti incrociati”, nonostante infatti il Conclave sfugga alle divisioni politiche e all’inflessibilità logica degli schieramenti, rimane da votare una persona, il Papa è uno e uno soltanto. Scherer, dal canto suo, deve affrontare i malumori di chi gli affibbia l’etichetta di “curiale” in vista del sostegno dei cardinali di radicamento diplomatico, un’opposizione questa cresciuta in seguito alla palesata difesa dello Ior (si ricorda che Scherer fa parte della commissione di vigilanza). Come potenziale alternativa per chi guarda con favore all’America Latina, cresce il nome di un outsider, sempre più quotato tra i confratelli, il cardinale messicano Francisco Robles Ortega, 64 anni, arcivescovo di Guadalajara e devoto fedele di Padre Pio.
Lo stesso Angelo Scola, del resto, rischia di pagare l’estrazione ciellina, nonostante la sua esperienza, ecumenica e non, vada oltre. L’autorevole americano Wall Street Journal dava ieri voce ad un anonimo “cardinale europeo” che sosteneva di voler sollevare in Conclave “il caso CL”, recriminando a Scola di essere eccessivamente attaccato alla politica; se ne aggiungeva al coro un altro accusando “i legami con Cl” di alienare i voti italiani. Persino l’inglese Guardian puntava il dito contro “l’amicizia di vecchia data” tra l’arcivescovo di Milano e l’ex Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Rimane, inoltre, fortemente coeso il gruppo degli undici statunitensi, e dunque se anche non riuscissero ad esprimere un nome per il futuro Papa, finiranno comunque per rivestire un peso preponderante nella scelta in Conclave. Resta solida infatti la potenziale scalata di Ouellet, allievo di Hans Urs von Balthasar e vicinissimo a Ratzinger, che potrebbe racimolare un consenso “trasversale”.
Il quorum resta stabile a due terzi, 77 voti su 115 elettori votanti, anche in caso di ballottaggio all’undicesimo giorno. Il meccanismo rende più semplice l’interruzione dell’ascesa di un nome, e per forza di cose i cardinali, nessuno escluso, dovranno mettersi nell’ottica di pattuire un accordo. I sostenitori di Scola sono ottimisti, arrivando a ipotizzare la raccolta di almeno 45-50 voti potenziali, gli altri sembrano non superare, o superare di poco, la trentina. In Conclave in realtà gli assetti sono mutevoli e possono variare da un giorno all’altro, se non a distanza di ore: l’ascesa di un candidato può essere fulminea, tuttavia se dopo i primi tre scrutini si paventa lo stallo ecco allora la veloce virata verso un nome alternativo, le possibilità sono già ponderate. Stamane partono il secondo e il terzo scrutinio, nel caso il quarto e il quinto nel pomeriggio; domattina, il sesto e il settimo. Più i tempi si protrarranno e più prenderanno forza i cosiddetti “outsider”, in realtà tutte personalità, certo, secondarie ma già di forte spessore, pronte a rimescolare le carte in gioco. Si comincia dall’ungherese Péter Erdö per passare all’austriaco Christoph Schönborn, e ancora non sono da sottovalutare gli italiani Gianfranco Ravasi e Angelo Bagnasco, il filippino di origini cinesi Luis Antonio Gokim Tagle, il cardinale di Hong Kong John Tong Hon, il guineiano Robert Sarah e il ghanese Peter Turkson (sono in tanti a volere infatti un Papa nero). Nella bimillenaria storia del Conclave, si sa, i Papi sono nati e svaniti anche nel giro di un paio ore.
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