Cominciamo dal ‘toccamento’.
La corte di appello di Torino, con Sent. 30 marzo 2000, si è presa la briga di descrivere la condotta vietata e punita come violenza sessuale, stabilendo che essa ricomprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione nella sfera sessuale.
Pertanto la valutazione del giudice sulla sussistenza dell’elemento oggettivo non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche ‘aggredite’ e al grado di intensità fisica del contatto instaurato, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva, ed esaminare la vicenda con un approccio interpretativo di tipo sintetico. Di conseguenza, possono costituire un’indebita intrusione nella sfera sessuale i toccamenti non solo delle zone genitali ma anche delle zone che la scienza medica, psicologica e antropologico-sociologica considera ‘erogene’, ossia in grado di stimolare l’istinto sessuale.
Facile a dirsi difficile da praticarsi. E infatti le interpretazioni dei giudici in materia sono altalenanti, oscillando dall’eccessivo rigore alla benevola comprensione.
Fra le sentenze connotate da un eccesso di rigore si rammenta quella emessa il 14 dicembre 2001 che ha ritenuto sussistere il reato di violenza sessuale nel toccamento «subdolo seppure fugace» (così si esprime) della coscia di una persona.
Per la cronaca si trattava di un dentista, che si è visto appioppare un anno e due mesi di reclusione. In quell’occasione toccò a lui e non alla cliente restare a bocca aperta!
Ma la coscia è più erotica del sedere? Parrebbe di sì, secondo quanto insegna la Cassazione con la Sent. 25 gennaio 2006 n. 7369 che ha ritenuto il ‘toccamento dei glutei’ non configurare il delitto di violenza sessuale, ma trattarsi di semplice molestia punita ai sensi dell’art. 660 del codice penale (cioè con un’ammenda o, in alternativa, con una pena detentiva molto modesta).
In una precedente sentenza, invece, l’aggiunta dell’attributo «lascivo» a qualificare il toccamento, aveva fatto sì che un analogo episodio fosse ritenuto integrante il reato de quo (Cass. 23 settembre 2004 n. 37395).
La Cassazione ha poi stabilito che la ‘pacca sul sedere’ non costituisce un gesto di concupiscenza di natura sessuale, purché sia ‘isolata’. Già con Sent. 15268 del 2007 la ‘pacca’ non era da considerarsi reato se ‘fugace’ (leggasi: toccata e fuga).
Vari e bizzarri i motivi addotti dagli imputati per giustificare i loro atti di natura sessuale, ma che la Cassazione quasi sempre non prende per buoni e giudica infondati. Così un quarantenne di Venezia si è visto infliggere la pena di dieci mesi di reclusione per avere palpeggiato il seno rifatto di una ragazza, al solo scopo – disse – di «verificare l’esito dell’intervento » (Sent. 39718/09).
Impietosamente la Cassazione ci informa anche della delusione del palpeggiatore il quale – all’esito dell’esame tattile – dichiarò con stupore: «Tutto qua,non sei un granché». Evidentemente non conosceva il detto «Dice la mamma Rocca, si guarda ma non si tocca».
Ma quando si passa dalla toccata alla ‘mano morta’, che succede? Intanto becchiamoci la definizione della suprema Corte: «dicesi mano morta lo sfregamento sulle parti intime posteriori [sic!] suscettibile di suscitare la concupiscenza anche in modo non completo e di breve durata». Chissà perché la definizione è così restrittiva e limitata al cosidetto lato B! Il caso esaminato dalla Cassazione peraltro riguardava una ragazza coperta da solido cappotto che ben proteggeva l’obiettivo dell’imputato, il quale si era difeso nel giudizio di merito sostenendo –come spesso accade – la casualità dello ‘strusciamento’ e poiché non sussiste lo strusciamento colposo, chiedeva di essere assolto. Il fatto è costato caro allo ‘strusciatore’ che si è visto confermare dalla corte di appello di Firenze la sentenza di primo grado del tribunale di Pisa: un anno e tre mesi. La prossima volta o la mano la tiene viva o la indirizza da qualche altra parte!
Questo vizietto pare sia particolarmente coltivato in Giappone, almeno secondo quanto asserito dall’ANSA nell’edizione del 16 dicembre 2009, che riporta una notizia alquanto strana: «Nel 2005 nella metropolitana di Osaka, in un incidente senza precedenti in Giappone, un uomo d’affari, colto in flagrante mentre tentava la ‘mano morta’ su una ventenne, era morto in seguito all’aggressione da parte di alcuni passeggeri infuriati per l’accaduto». Pertanto – continua l’agenzia – l’operatore ferroviario JR East ha deciso di installare speciali telecamere antimolestie all’interno di alcuni convogli.
Gli è andata meglio – come pena – a un idraulico di Monfalcone che, dopo avere riparato un tubo a una signora, trovò simpatico palparle i glutei, beccandosi mesi nove e giorni dieci di reclusione. Forse l’artigiano aveva pensato che la signora fosse disponibile, ma alla fine si era dovuto ricredere: delle donne non aveva capito un tubo!
I toccamenti perdono il connotato di atti sessuali quando non sono accompagnati dalla ‘lascivia’, per cui non integra(va)no gli atti di libidine violenti, né la violenza sessuale ai sensi e per gli effetti della legge n. 66 del 1996 i toccamenti non lascivi, ma finalizzati unicamente alla ricerca ossessiva di un fantomatico corpo di reato, nel corso di una (illegittima) perquisizione personale compiuta nel sospetto d’aver subito un furto (Trib. Piacenza, 24 novembre 1998).
E gli abbracci? Anch’essi reato. Ne sa qualcosa un cinquantaseienne di Poggibonsi che si è visto condannare a un anno e tre mesi di reclusione per avere abbracciato una dipendente.
Fa invece eccezione l’abbraccio riservato alla ex moglie, alla quale è anche lecito chiedere un rapporto sessuale, senza commettere alcun reato. Lo afferma la Cassazione che ha confermato una sentenza di assoluzione della corte di appello di Firenze avverso una condanna a dieci mesi di reclusione inflitta dal G.I.P. col rito abbreviato.
Se la Cassazione è l’organo preposto a interpretare la legge, caso vuole che a volte essa sia anche il luogo ove si verifica il fatto che poi deve essere giudicato. Accade pure che i giudici della Cassazione dettino i canoni interpretativi delle legge, ma come nel famoso detto (riferito ai predicatori) «fate quello che dico, non fate quello che faccio» succede che la Suprema Corte sia costretta ad occuparsi di un reato commesso da un magistrato della stessa Corte proprio all’interno degli uffici della Cassazione.
E così la Sent. 2 luglio 2004 n. 37395 ha dovuto interessarsi proprio di un alto magistrato – indicato con tanto di nome e cognome – che tra un’udienza e l’altra, nella pomposa cornice del Palazzaccio, non disdegnava «il toccamento lascivo dei glutei di alcune impiegate presso la Cassazione, con violenza consistita nell’aggressione da tergo e proditoria». Non avendo gradito la condanna del G.I.P. di Roma, il magistrato-palpatore ricorreva in Cassazione, ufficio nel quale evidentemente sperava di trovarsi più a suo agio, ma non otteneva gli effetti sperati, in quanto al malcapitato non solo fu confermata la pena, ma fu anche inflitto il pagamento delle spese alla controparte, costituitasi parte civile.
Il magistrato colpevole e giudicato dai suoi stessi colleghi, peraltro dello stesso ufficio in cui lavorava, avrà suscitato un qualche imbarazzo. Come di certo ne avrà suscitato il caso di un altro magistrato (le cronache ne indicano a malapena le iniziali: L.V.) che qualche decennio fa venne trovato nei cessi di un cinema intento a fare cose indicibili con un ragazzino.
Secondo quanto riporta Mauro Mellini nel libro La fabbrica degli errori (Koinè 2005), sarebbe stato assolto dal C.S.M. perché aveva sbattuto la testa sulla porta della toilette e ciò lo avrebbe reso, ma solo per un certo tempo, incapace di intendere e di volere.
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