Il valore di una causa civile, ai fini della competenza, si determina, ai sensi del primo comma dell’art. 10 c.p.c., sulla base della domanda di colui che propone l’atto introduttivo. In concreto, occorre calcolare, oltre al quantum preteso, le spese, i danni e gli interessi maturati. Inoltre, qualora nel processo siano proposte più domande nei confronti della stessa persona, queste devono essere sommate al fine di individuare il giudice competente per valore.
Quest’ultima disposizione, prevista dall’art. 10 comma 2 – “le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro” – esclude che la domanda riconvenzionale possa essere sommata a quella principale proprio perché proposta nei confronti di un soggetto diverso (così Cassazione n. 6025 del 1987 e, più di recente, n. 1202/2003).
Non sempre, quindi, la proposizione di una domanda riconvenzionale modifica il valore della controversia, poiché ciò si verifica solo nell’ipotesi in cui il valore della nuova domanda introdotta, calcolata secondo i criteri di cui sopra, sia superiore a quella originaria. Il valore così determinato è quello sulla base del quale si individua il giudice competente a decidere della questione.
Da un punto di vista più pratico, come sappiamo, ogni procedimento giudiziario, portato all’attenzione di un organo giudicante, è tassato mediante il versamento del c.d. “contributo unificato”, introdotto dal D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico sulle spese di Giustizia) che ha riordinato l’intera materia fiscale.
L’importo del versamento è connesso al valore della causa determinato ai sensi dell’art. 14 L del Testo Unico il quale, originariamente, prevedeva un rinvio de plano alle disposizioni del codice di procedura civile: “Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito”.
Successivamente, l’art. 9-bis della legge 17 agosto 2005, n.168 ha modificato questa disposizione inserendo l’inciso “senza tenere conto degli interessi“. Pertanto, gli interessi non debbano essere sommati al quantum della domanda per calcolare il valore del procedimento. Ciò comporta che il valore rilevante ai fini della competenza può essere diverso da quello in base al quale si determina il contributo unificato.
Ciò precisato, cosa succede nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale agli effetti del versamento del contributo?
In primo luogo, è necessario controllare se la nuova domanda comporti un aumento di valore della causa e calcolarlo senza tener conto degli interessi maturati. In seguito, si deve verificare l’importo del contributo unificato dovuto per il relativo scaglione e, se necessario, procedere al pagamento di un contributo integrativo e cioè della differenza tra il contributo dovuto e quello già pagato dall’attore.
Il nuovo valore della causa agli effetti del D.P.R. n. 115/2002, deve essere espressamente dichiarato nell’atto con cui viene proposta la domanda riconvenzionale. Questa dichiarazione è, comunque, richiesta anche nel caso in cui non ci sia una variazione di valore o uno spostamento di scaglione.
L’esattezza del pagamento è oggetto di controllo da parte del personale addetto agli uffici di ricezione degli atti, tenuto ad effettuare le opportune verifiche (art. 15R): controllo della presenza della dichiarazione, conformità della dichiarazione all’effettivo valore della causa, corrispondenza tra il contributo pagato e lo scaglione di appartenenza.
In caso di irregolarità, l’atto è comunque accettato dall’ufficio ma, entro 30 giorni dal deposito, sarà inviato alla parte un avviso con inviato ad integrare il contributo. In difetto di pagamento nel termine di legge (un mese dalla ricezione), si procederà ad iscrizione a ruolo dell’importo con addebito degli interessi al saggio legale, decorrenti dal deposito dell’atto cui si collega il pagamento o l’integrazione del contributo (artt. 247-249 D.P.R. n. 115/2002).
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