Tale obbligo della prescrizione del principio attivo nelle ricette, nel caso in cui esistano più farmaci equivalenti, è stato introdotto con la Spending Review. Stando alla formulazione di uno degli emendamenti, “il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, indica nella ricetta del SSN la denominazione di uno specifico medicinale. Il medico ha la facoltà di aggiungere il principio attivo”.
La proposta, nel corso del vaglio del Decreto Sviluppo bis al Senato, è stata firmata da alcuni parlamentari della Commissione industria e della Commissione Sanità (Sangalli PD, Bosone PD, sottoscritto anche dal centrista Milana, Germontani (FLI) e Ghigo (PdL), sottoscritto anche dal leghista Rizzi). Da parte dei senatori Sangalli e Ghigo è stata avanzata la proposta di sopprimere interamente la norma, mentre all’interno dello stesso esecutivo, a quanto è dato sapere, non c’è una posizione univoca per il respingimento degli emendamenti.
Netta contrarietà è quella finora emersa dal Ministero della Salute, che ha sottolineato che una modifica della norma in base a quanto proposto dal fronte bipartisan formatosi a Palazzo Madama comporterebbe il lievitare dei costi sia per i cittadini sia per il Servizio Sanitario Nazionale.
Il titolare del Dicastero della sanità, Renato Balduzzi, è stato molto chiaro in merito. La normativa sulla prescrizione obbligatoria del principio attivo in caso di presenza di più farmaci equivalenti “è equilibrata. Non vedo ragioni per non continuare sulla strada della valorizzazione della cultura e della pratica del farmaco equivalente che fa risparmiare i cittadini e l’SSN”. “Mi sembra – ha proseguito il Ministro – un’iniziativa individuale di singoli senatori, non dei partiti. La norma vigente, di grande equilibrio, dà la facoltà al medico di orientare i pazienti e i farmacisti. Quando c’è una ragione per indicare il nome commerciale di un farmaco il medico lo motiva, in tutti gli altri casi vale il principio di equivalenza come in tutto il resto del mondo”. La norma avrebbe ricadute benefiche nel ridurre le spese dei consumatori perché, ha concluso Balduzzi, chi produce un farmaco di marca “basta che abbassi il prezzo e venderà lo stesso il suo prodotto”.
Per quanto il principio attivo di un medicinale cosiddetto “generico” sia assolutamente identico al suo equivalente “firmato” (l’esempio più classico è quello, rispettivamente, dell’Acido acetilsalicilico e dell’Aspirina), per molti consumatori la marca ha una funzione rassicurante, rappresenta una garanzia di migliore qualità. Nei pazienti, spesso, c’è l’idea che pagare di più li aiuterà a guarire meglio. A livello psicologico si instaurano i meccanismi, ampiamente studiati, dell’effetto placebo, per cui il convincimento svolge una funzione non secondaria nella guarigione (perlomeno nel caso di patologie non eccessivamente gravi).
In questo senso la linea del Governo dovrebbe essere, a modesto avviso di chi scrive, quella di portare avanti l’obbligatorietà della prescrizione del principio attivo, ferma restando per i consumatori la possibilità, se lo desidera, di scegliere uno specifico medicinale in commercio. A tale misura dovrebbe seguire, più incisivamente di quanto non sia avvenuto finora, una campagna informativa che aiuti gli utenti a farsi sull’argomento un’opinione il più possibile chiara e ad orientarsi nella scelta tra medicinali di marca e rispettivi principi attivi, coniugando le esigenze del risparmio (tanto più importanti in tempo di crisi) con quelle fondamentali della salute.
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