Mentre continua il dibattito sul divorzio breve, il cui testo unico è atteso per la fine dell’estate al Senato, arriva un’importante pronuncia della Corte Suprema, a stabilire il confine entro cui la cancellazione del rito celebrato in Chiesa, non estingue la validità nello Stato italiano se la convivenza tra i due coniugi è andata oltre il 36esimo mese dalle nozze.
A portare piazza Cavour a una pronuncia fondamentale per le tante cause di divorzio e separazione che vengono inoltrate ai tribunali della Chiesa, il caso di una dichiarazione di nullità per un matrimonio concordatario accordata nel 2009 per opera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Come noto, le ragioni attraverso cui la Chiesa può dichiarare nullo un matrimonio sono molteplici:
Impotenza
Incapacità per insufficiente uso di ragione
Incapacità per difetto di discrezione di giudizio
Incapacità per cause di natura psichica
Ignoranza
Errore
Dolo
Simulazione – o esclusione
Condizione
Timore
La forma canonica
Nel caso in oggetto, a essere riconosciuta come causa invalidante il matrimonio contratto l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale da parte della moglie. Una richiesta che, oltretutto, aveva incontrato l’opposizione del marito, il quale rivendicava la nascita di una figlia e la durata della convivenza.
Alla fine la Corte di Cassazione, ha rigettato il ricorso del marito, dal momento che questo aveva opposto la durata della convivenza in Corte d’Appello, dove invece no può essere avanzata. Così, alla Corte suprema non è rimasto che rigettare la posizione dello sposo.
Un elemento fondamentale ravvisato dalla Corte per sancire come l’annullamento del tribunale ecclesiastico non possa essere accettato anche dall’ordinamento statale, risiede nel fatto che la convivenza sia stata per lungo tempo la condizione stabile della coppia, con il loro vivere insieme anche riconosciuta all’esterno dei coniugi.
Proprio al fine di misurare la stabilità del rapporto di matrimonio, la Cassazione si è rifatta alla legge 183 del 1983 per stabilire il limite in tre anni dal matrimonio e fissare, così, un termine nel quale ravvisare la stabilità dell’unione: da quel momento infatti, la relazione di convivenza tra marito e moglie protrattasi oltre i 3 anni, è depositaria di una serie di norme, tutele e riconoscimento giuridici da rendere impossibile l’accoglimento dell’istanza ecclesiastica. Il termine deriva dalla legge per le adozioni: 3 anni è infatti il limite minimo di matrimonio perché una coppia possa presentare istanza di adozione. Ulteriori informazioni nella sentenza 16379 delle Sezioni unite.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento