L’imputazione in capo ai soci si basa sull’osservazione empirica secondo cui le compagini societarie formate da pochi membri, per giunta legati da vincoli di solidarietà famigliare, agevolino condotte scorrette. La complicità, l’allineamento totale degli interessi, la confusione tra governance aziendale e dinamiche famigliari creano un ambiente che deprime il reciproco controllo.
Tuttavia la Ctr Puglia, tramite sentenza 19/5/2012, ha sancito che la presunzione di distribuzione occulta di utili necessita comunque di valide prove a supporto. La vicenda coinvolge una Srl che la Guardia di Finanza ha sottoposto a verifica per l’anno 2003. Il risultato dell’indagine è stata l’emissione di tre avvisi di accertamento: uno alla società, per la mancata contabilizzazione di ricavi (mancate IRAP e IVA) e uno a ciascun socio, per distribuzione occulta di utili (mancata IRPEF).
Dopo avere inutilmente impugnato gli atti di fronte alla Ctp, i tre ricorsi sono approdati in Commissione Regionale. Nelle rispettive istanze di appello, i soci hanno rilevato l’illegittimità dell’ attribuzione automatica in capo a loro dei maggiori utili accertati, in assenza di prove concrete. Nelle proprie controdeduzioni, invece, l’agenzia ha chiesto la conferma del proprio impianto sia nei confronti della società, sia nei confronti dei due soci, facendo riferimento al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità.
I giudici di Bari hanno accolto le ragioni dei soci, in quanto i motivi sottesi agli accertamenti emessi in capo ai soci, ossia ristretta base azionaria vincolo familiare, sono generici e non verificate nel caso specifico. L’Agenzia infatti fondava le proprie presunzioni principalmente sull’accertamento di un maggior reddito della Srl, sui vincoli famigliari tra i soci e sulla ristrettezza della compagine sociale. L’ufficio intendeva sostenere che questi tre elementi costituissero prova inconfutabile della percezione da parte delle due persone fisiche dei maggiori utili che la società aveva omesso di dichiarare.
E siccome i maggiori redditi imponibili in capo ai soci sono stati accertati soltanto sulla base di una presunzione (distribuzione di utili), pergiunta derivante da altre presunzioni (ristretta base azionaria), in mancanza del supporto di ulteriori prove, gli atti sono stati dichiarati illegittimi.
Conseguenza diretta della nuova sentenza è che la fase istruttoria del procedimento tributario non dovrà solamente prevedere la ricostruzione del maggior reddito d’impresa, ma dovrà basarsi su una puntuale ricostruzione del tragitto che la ricchezza occulta ha percorso. Nel corso della fase prodromica all’eventuale adozione del provvedimento impositivo, l’agenzia sarà così tenuta a considerare ogni aspetto attinente alla fattispecie impositiva concreta, potendo emettere accertamenti solo allorquando venga acquisita piena prova del passaggio della ricchezza dalla società al socio, o dopo che saranno stati acquisiti elementi indiziari che, in ogni caso, dovranno avere i tratti della gravità, precisione e concordanza prescritti dal Codice Civile in materia di presunzioni semplici.
Il dispositivo, contrario alla prassi degli uffici tributari ed alla giurisprudenza che fino ad oggi tendeva ad avallarne l’operato, prende atto delle possibili vie che i fondi occulti possono prendere. Essi possono finire tanto nelle tasche di tutti i soci (secondo le loro partecipazioni) quanto nelle tasche di un solo socio disonesto, di un amministratore, o possono venire asserviti alla operatività dell’impresa, oppure ancora andare ad alimentare fondi e riserve occulte. “La ristretta base sociale, infatti, costituisce soltanto il fatto noto alla base della presunzione di distribuzione che però deve essere avvalorata da altri elementi indiziari che consentano di risalire al fatto ignoto che è l’effettiva distribuzione dei maggiori utili accertati”
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