Con la
sentenza n°15792/2018 la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sulla distinzione tra delitto di concussione e delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità. Il
delitto di concussione di cui all’
art. 317 del codice penale nel testo modificato dalla L.190/2012, è contraddistinto da un abuso costrittivo del pubblico agente mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno da cui deriva un grave ostacolo alla libertà di autodeterminazione del destinatario, posto di fronte all’alternativa “stringente” tra subire un danno o evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità non dovuta. Il delitto di concussione, chiarisce la Corte, si distingue dal
delitto di induzione indebita, previsto dall’
art. 319-quater del codice penale introdotto dalla L.190/2012, il quale si configura come una pressione morale “lieve” della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale innanzi a una scelta discretamente libera, sceglie di prestare assenso alla richiesta della prestazione non dovuta, stimolato dalla prospettiva di un profitto personale.
La Corte ha anche affrontato il dettato del disposto dell’art. 360 c.p., in base al quale, se la qualità di pubblico ufficiale è elemento costitutivo di un reato, l’esistenza di questo non è esclusa dalla cessazione di tale qualità al momento del fatto. Tale disposizione, a giudizio della Corte, pone un principio generale da impiegare in ogni caso in cui sia ravvisabile un rapporto funzionale tra la – pur cessata – qualità di pubblico ufficiale e la commissione del reato.
In sostanza rileva la Cassazione, la norma in esame stabilisce un universale criterio di collegamento tra la specificità del bene giuridico tutelato dalle fattispecie incriminatrici e la tangibile capacità offensiva di una condotta, la cui realizzazione è resa possibile dall’attività precedentemente esercitata. L’ultrattività della qualifica personale nella sequenza temporale, impone ad ogni modo che il fatto deve seguire la perdita della qualità, non precederne l’assunzione.
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