Disconoscimento di paternità e incapacità naturale

Nel corso di un giudizio civile, il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza emessa il 5 aprile 2011, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 245 c.c.. Tale articolo, secondo il rimettente, non prevede che la decorrenza del termine annuale di proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità sia sospeso, non solo quando la parte interessata si trovi in stato di interdizione per infermità mentale, ma anche quando questa si trovi in stato di incapacità naturale. Il Tribunale osserva che, dagli accertamenti effettuati, l’attore, nel caso di specie, risulta essere ‘’un soggetto che sin dalla nascita ha manifestato un ritardo mentale di tale gravità da renderlo incapace di esprimere giudizi, incapace di possedere capacità critica, incapace, quindi, di autodeterminazione volitiva’’, seppure non interdetto.

Ebbene, l’art. 245 c.c. prevede che ‘’Se la parte interessata a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità si trova in situazione di interdizione per infermità di mente, la decorrenza del termine indicato nell’art. precedente è sospesa, nei suoi confronti, sino a che dura lo stato di interdizione. L’azione può tuttavia essere promossa dal tutore’’. Tale disposizione, come chiaramente si evince, consente ad una persona interdetta per infermità di mente di disconoscere il figlio anche dopo la scadenza del termine ordinariamente previsto. In base a detta norma il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione rimane sospeso per l’intera durata dello status di interdizione, con ‘’allungamento’’ effettivo dei termini ordinari.

La questione normativa, esaminata e risolta dalla Consulta pochi giorni fa, trovava, però, origine nella concreta ‘’parificazione’’, che la medesima disposizione delineava in via residuale, tra il soggetto capace e il soggetto incapace ‘’di fatto’’. Da tale parificazione derivava una disparità, irragionevole, di trattamento a danno degli individui che si trovavano, per l’appunto, in condizione di abituale e grave infermità di mente con grande deficit cognitivo, seppur non accertato con provvedimento formale di interdizione.

Nella presente analisi normativa è pressoché necessario innestare la conseguente disamina dell’istituto dell’Amministrazione di sostegno, ove lo status del beneficiario costituisce una condizione giuridica ibrida, e quindi talvolta equiparabile a quella del disabile psichico non interdetto, di cui si è occupata la Consulta. Ciò sta a significare che si può essere in abituale condizione d’infermità di mente senza per quello essere interdetti. L’Amministrazione di sostegno è un mero strumento di assistenza che sacrifica nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, ex artt. 414 e 427 c.c. (Giudice Tutelare di Bari, Decreto del 5 settembre del 2008).

La Corte Costituzionale, con la pronuncia del 25 novembre 2011 nr. 322, in tema di ‘’diritto alla sospensione dei termini per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità’’, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 245 c.c. per conseguente lesione del diritto di difesa che esso determina e per la disparità di trattamento, ex artt. 3 e 24 della Costituzione.

La Consulta, con tale ordinanza, equipara colui che si trova in stato di grave infermità di mente al soggetto formalmente interdetto. ‘’D’ora in poi, pertanto, l’interessato al disconoscimento che sia afflitto (anche soltanto temporaneamente!) da incapacità naturale potrà ottenere l’accertamento della verità sulla propria paternità senza incorrere in decadenza di sorta.

Insomma, la pronuncia pare essere il prodotto di tutta una serie di precedenti decisioni emesse dalla Consulta in materia; decisioni volte a ‘’facilitare l’esercizio dell’azione di disconoscimento’’. Ma ci si domanda, considerato che, secondo la Corte Costituzionale, spetterà al giudice accertare tale condizione, potrebbe risultare problematico il medesimo accertamento? Sul piano strettamente pratico, potrebbe forse risultare complicato per il giudice stabilire quali fossero le reali capacità cognitive dell’attore ‘’nell’intervallo di tempo’’ corrispondente al decorso dell’ordinario termine di decadenza?

Giovanna Cuccui

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