Al di là dei molti ragionamenti per evidenziare l’antigiuridicità stessa dell’idea di Giavazzi (che evidentemente non conosce la giurisprudenza della Corte costituzionale in merito, oppure osserverebbe che la Consulta “tira indietro” e difende i privilegi), si osservò: “Sarebbe interessante se un editorialista così prestigioso del Corriere aggiornasse le sue cognizioni in tema di dirigenza pubblica e spoil system, evitando di scadere nella facile demagogia, per lo più instillando nelle persone convinzioni del tutto errate. Questo dovrebbe essere il compito di un intellettuale sereno. A meno che, qualche alto burocrate non abbia “pestato i piedi” al Giavazzi. Ma, allora, in questo caso, che agisca di conseguenza, tutelandosi nelle sedi appropriate. Senza piazzate generiche e poco fondate”.
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, disse qualcuno. E non si sbagliava poi tanto. Nell’intervista su Panorama del 10 luglio, “Vi racconto la mia spending review bloccata dai dirigenti ministeriali”, il Professore conferma in pieno: “d. Sta dicendo che ad affossare il suo rapporto non furono le resistenze dei ministri, ma i funzionari dei ministeri? r. Si. Soprattutto quelli dello sviluppo economico, cui spetta la distribuzione dei fondi. I dirigenti cominciarono a sollevate obiezioni di ogni tipo. Si creò la classica situazione del vecchio detto sui tacchini e l’abolizione del Natale”.
Dal canto suo, il Professor Luca Ricolfi, nell’intervento riportato da Linkiesta “Ecco perché la spending review in Italia è un’utopia” fa eco racconta che venne invitato dalla regione Piemonte a dare il proprio irrinunciabile contributo alla razionalizzazione della spesa, ma di aver trovato un muro di gomma nei politici ma anche nei dirigenti, osservando: “Per riorganizzare, infatti, non occorrono solo dei buoni piani (che non ci sono, se non altro perché richiedono tempo) ma ci vogliono anche due altre cose fondamentali: una burocrazia non corrotta, e qualche ragionevole forma di comando nella Pubblica amministrazione. Oggi né l’una condizione né l’altra sono presenti in Italia. I dirigenti della Pubblica Amministrazione sono troppo spesso corrotti o semplicemente ignavi, mentre il personale è per lo più inamovibile (né spostabile né licenziabile), difeso dai sindacati e tutelato dalla magistratura oltre ogni limite di decenza. Nello stesso tempo, gli studi sull’efficienza della Pubblica amministrazione mostrano che, contrariamente a quanto si dice e si crede, i grandi sprechi non sono legati agli acquisti (le famose siringhe strapagate) ma all’eccesso di personale di troppe strutture, specie – ma non solo – nelle regioni del Sud”.
Insomma, ecco il monito: guai ad intralciare Giavazzi e Ricolfi e altri professoroni di tal calibro. Dirigente tu me provochi? Dirigente, me te magno!
Giavazzi e Ricolfi avranno certamente la loro parte di ragione e verità. Ma non si pongono il minino scrupolo nello scaricare interamente la responsabilità del mancato accoglimento dei loro piani o piani di lavoro sugli altri, senza chiedersi se, per caso, le loro proposte non fossero state accolte semplicemente perché, magari, incompatibili con la normativa o le regole vigenti.
E già. Ma i professori, specie se economisti, pensano che la dirigenza serva non a gestire nel rispetto delle regole, bensì a piegarle al comando del politico o al piacere dell’economista stesso.
Non si rendono evidentemente conto, questi professori, che la gestione della cosa pubblica risponde a regole del tutto particolari che nel privato non esistono: una spesa disinvolta, un taglio di entrata ellittico, una “riorganizzazione” molto manageriale ma contraria a legge ed ecco che scattano non solo le responsabilità civili e penali, ma anche quelle contabili, che incombono ad ogni passo ed attività svolta.
Cotanti economisti dovrebbero, una buona volta, invece che additare i dirigenti e i dipendenti pubblici, unendosi ad un coro gradevolissimo diretto da uno come loro, Brunetta, che a differenza di loro almeno si schiera politicamente in modo franco, proporre il cambiamento degli assetti normativi, prendendo atto che le regole le fa il Parlamento e che la responsabilità di norme e procedure di spesa ricade su chi legifera e governa, in primo luogo. Dirigenti e dipendenti pubblici, se corrotti o incapaci, possono e debbono essere sanzionati, ma non si risolve così il problema.
O si passa ad un ordinamento che regola la pubblica amministrazione con norme di stampo totalmente privatistico, oppure, cosa che appare più confacente, per evitare la corruzione e le spese assurde, legate ad iniziative ancor più assurde, si devono attivare controlli preventivi di legittimità e anche di merito.
Giavazzi e Ricolfi, pieni di sé, perché professori ed editorialisti di grandi giornali, pensano evidentemente di avere la verità in tasca e di emettere le loro sentenze contro chi pensano li intralci nei loro tentativi di approccio alla politica e gestione.
Che ne pensano, lor signori economisti, allora, di questa idea: perché non mettiamo come presidente del consiglio un professore, economista ed editorialista di grandi giornali, contornato da altri ministri a loro volta professori? Sicuramente, simile schiera di ottimati e padri della Patria, con un governo di un anno e mezzo circa sarebbe in grado di attivare la spending review, rilanciare l’economia e ridurre il debito pubblico?
Come dite? E’ già stato fatto ed è stato un fallimento? Ah, sì, vero. Ma la colpa è della dirigenza e dei dipendenti pubblici, non lo vogliamo capire.
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