Direttori musei, prima gli italiani? Anche no. Pubblico impiego a libera circolazione Ue

Ileana Alesso 04/12/18
Direttori di musei. Prima gli Italiani, ma anche no. Per il Consiglio di Stato la normativa europea in materia di libera circolazione dei cittadini dell’Unione prevale, anche per l’accesso agli impieghi pubblici, sulla “riserva di nazionalità” delle disposizioni nazionali, che vanno quindi disapplicate.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, sentenza 25 giugno 2018, n. 9), l’equivalente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si pronuncia ponendo fine al contenzioso sorto a seguito della nomina a direttori musei di rilevante interesse nazionale, di cittadini non italiani bensì di altri Paesi membri della Unione europea.

La sentenza dell’Adunanza Plenaria, partendo dal caso della nomina dell’austriaco Peter Assmann a Direttore del Palazzo Ducale di Mantova, conferma la legittimità delle selezioni e nomine a suo tempo effettuate dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali.

A tal fine la sentenza richiama la normativa europea in tema di libera circolazione di cittadini e lavoratori, rilevando che se vi sono disposizioni nazionali che riservano ai soli cittadini italiani i posti di livello dirigenziale delle Amministrazioni statali, tali norme devono essere disapplicate.

L’Adunanza Plenaria giunge a tale conclusione sulla base dei seguenti motivi:

  1. Il Regolamento adottato nel 1994 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in tema di “accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione ai posti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni”, riserva ai soli cittadini italiani i posti dei livelli dirigenziali delle Amministrazioni dello Stato, che ovviamente determina l’esclusione, fin dalle selezioni, di cittadini di altri Stati membri;
  2. il successivo Trattato sul funzionamento della Unione europea invece “assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Unione e l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” (art. 45);
  3. in caso di contrasto tra il diritto dell’Unione e una norma interna, la Corte Costituzionale in aderenza agli orientamenti della Corte di Giustizia UE, ammette la disapplicazione della norma interna, anche di fonte regolamentare;
  4. quindi in forza del principio di supremazia del diritto eurounitario il Giudice, ove non possa interpretare la norma interna in modo conforme a quella europea, in primo luogo non deve applicare la norma interna ed in secondo luogo, se la norma europea, come quella in esame, è chiara e autoapplicativa, deve darvi immediata applicazione;
  5. è vero che la medesima norma del Trattato prevede anche che la regola della libera circolazione possa subire limitazioni, ma si tratta di “limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica”, e quindi di eccezioni da interpretarsi in modo restrittivo;
  6. è anche vero che sul piano nazionale una norma del 1993, in materia di pubblico impiego, riserva ai soli cittadini italiani “i posti di lavoro che implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri o che attengono alla tutela dell’interesse nazionale” e che il Testo Unico del pubblico impiego del 2001 ribadisce la predetta “riserva di cittadinanza”. E tuttavia le funzioni demandate alla posizione dirigenziale di Direttore di Museo attengono invece a profili organizzativi, gestionali e di promozione della cultura e di valorizzazione delle risorse;
  7. si tratta quindi di esaminare in concreto le funzioni assegnate ai Dirigenti-Direttori di Museo e da ciò emerge che si tratta di funzioni dirigenziali non connotate dall’esercizio di funzioni autoritative, se non in modo assolutamente sporadico e minoritario, che non giustifica la “riserva di nazionalità”, con la conseguenza che nei casi in esame non ci si trova di fronte ad alcuna cessione “di quote di sovranità”;
  8. né alcuna limitazione è posta dalla Costituzione poiché quando afferma (art. 54) che l’affidamento di “funzioni pubbliche” comporta il “dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento” (ove richiesto), ha l’evidente fine di evidenziare la modalità di adempierle e non certo quello di introdurre una “riserva di sovranità”. Allo stesso modo alcuna preclusione pone l’art. 51, ai sensi del quale “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici” poiché lo scopo è invece quello di garantire la eguaglianza dei cittadini senza discriminazioni e limiti.

L’Adunanza Plenaria conclude rinviando il tema al Governo, la cui norma regolamentare del 1994 è stata disapplicata, affinché adotti le determinazioni conseguenti la pronuncia di illegittimità della norma disapplicata.

 

Ileana Alesso

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