Dimissioni con Naspi: quando spetta la disoccupazione ed esempi concreti

Tutti i casi in cui non si perde l’indennità di disoccupazione e la procedura per richiederla in caso di dimissioni

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Non ti trovi bene con il tuo attuale lavoro e vorresti cambiare ambiente lavorativo? Oppure vorresti dimetterti e prenderti un periodo di fermo in attesa di nuove opportunità lavorative? Qualsiasi scelta tu faccia devi sapere che non sempre ti spetta l’indennità di disoccupazione Naspi. Anzi, sono pochi i casi nei quali l’INPS ti eroga il sussidio per cercare nuovo lavoro.

Infatti, la ratio della norma è quella di aiutare economicamente chi è venuto a trovarsi improvvisamente senza alcun reddito. Pertanto, uno dei requisiti – se non la condizione principale – è che l’interruzione, ossia la cessazione del rapporto di lavoro – avvenga in maniera involontaria. Cosa vuol dire? Significa che l’interruzione deve avvenire non per volontà del lavoratore.

Già da queste prime battute è facile intuire che il caso delle dimissioni è molto delicato, in quanto bisogna sostanzialmente distinguere due tipologie di dimissioni:

  • le dimissioni volontarie e
  • le dimissioni per giusta causa.

Rientrano nell’alveo della prima fattispecie (volontarie) tutte quelle dimissioni nate per spontanea volontà da parte del lavoratore. È il caso, ad esempio, di un lavoratore che decide di propria iniziativa di dimettersi a prescindere se sarà reimpiegato in un nuovo progetto lavorativo o meno.

Differente, invece, è il caso delle dimissioni per giusta causa. Si tratta di una tipologia di dimissioni particolare che merita attenzione. Infatti, in tali casi, spetta l’indennità di NASpI: perché? Ebbene, come anticipato, la ratio della norma è la volontarietà del lavoratore di dimettersi. In tale fattispecie, lo stesso è indotto a interrompere l’attività lavorativa.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo nello specifico tutti i casi in cui è possibile dimettersi e ricevere comunque la NASpI.

Naspi: cos’è e a chi spetta

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) è una indennità mensile di disoccupazione, istituita dall’art. 1 del D.Lgs. n. 22/2015, in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria che si sono verificati a decorrere dal 1° maggio 2015.

La NASpI spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente l’occupazione, compresi:

  • apprendisti;
  • soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative;
  • personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
  • dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Naspi 2020: a chi non spetta 

Al contrario, non possono accedere alla prestazione:

  • i dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni;
  • gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato;
  • i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per i quali resta confermata la specifica normativa;
  • i lavoratori che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • i lavoratori titolari di assegno ordinario di invalidità, qualora non optino per la NASpI.

Dimissioni con Naspi: quando c’è giusta causa

Si tratta, dunque, di un sussidio economico che spetta a chi ha perso involontariamente il lavoro, quindi chi si dimette volontariamente non ne ha diritto.

La legge, però, prevede un’eccezione: chi si licenzia prende la disoccupazione se dimostra che le dimissioni sono avvenute per giusta causa: ovvero indotte dal comportamento illegittimo del datore. In altri termini, prende l’assegno di disoccupazione il dipendente costretto a licenziarsi a seguito di comportamenti illeciti o pressioni psicologiche da parte del datore di lavoro.

Sul punto, si ricorda, è intervenuto anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 269/2002, poi confermata dalla Circolare 97/2003 dell’INPS, secondo cui è possibile accedere alla Naspi dopo il licenziamento per “giusta causa” perché in tal caso “le dimissioni non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore poiché sono indotte da comportamenti altrui, idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro”.

>> Naspi 2020: cosa fare se si trova lavoro 

Ma quando si verifica la giusta causa? Quando le dimissioni possono definirsi tali e ricevere di conseguenza la NASpI?

Dimissioni con Naspi: quando si tratta di giusta causa

Attualmente l’ordinamento italiano consente al lavoratore di dimettersi in due modi:

  • dimissioni volontarie;
  • dimissioni per giusta causa.

Nel secondo caso, che è quello oggetto di discussione, il lavoratore può interrompere il rapporto di lavoro senza preavvisare il datore di lavoro, ossia senza rispettare il cd. periodo di preavviso. Perché? Semplice, il motivo delle dimissioni non è legato al lavoratore, ma al datore di lavoro. è quest’ultimo, quindi, che si rendere colpevole delle dimissioni del proprio dipendente, in quanto ha assunto comportamenti tali che non consentono al lavoratore di continuare il rapporto di lavoro.

Dimissioni con Naspi: esempi pratici di giusta causa

Ecco alcuni esempi dei casi in cui il lavoratore può appellarsi alla “giusta causa” per recedere immediatamente il contratto senza perdere l’assegno di disoccupazione:

  • mancato pagamento della retribuzione per almeno due mensilità;
  • molestie sessuali a lavoro;
  • peggioramento ingiustificato delle mansioni lavorative;
  • mobbing;
  • notevoli variazioni delle condizioni di lavoro;
  • spostamento della sede di lavoro senza ragioni tecniche, organizzative e produttive,
  • non sono stati versati i contributi previdenziali (omesso versamento)

Dimissioni con Naspi 2020: il caso della maternità 

Si ha diritto alla Naspi anche quando le dimissioni sono state presentate nel periodo di maternità, che va da 300 giorni prima della data presunta di nascita fino al compimento di 1 anno del bambino. Questo è l’unico caso in cui una persona può ambire all’indennità di disoccupazione dopo essersi dimessa senza giusta causa.

>> Indennità Naspi: tutti gli obblighi e le sanzioni

Dimissioni con Naspi: effetti della giusta causa

Il lavoratore che recede dal contratto per giusta a causa ha particolari diritti. Innanzitutto, può interrompere il contratto senza dare preavviso al datore di lavoro. Inoltre, il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, quindi il datore di lavoro deve versare un importo quantificabile nella normale retribuzione che gli avrebbe corrisposto nel periodo di preavviso.

Inoltre, come detto, la giusta causa lascia inalterato il diritto del disoccupato di percepire l’indennità NASpI, la quale invece non spetta ai lavoratori che si licenziano senza un apparente, e giusto, motivo.

Dimissioni con Naspi: come ottenere l’indennità

Le dimissioni per giusta causa devono essere espressamente dichiarate, altrimenti si viene trattati alla stregua dei dipendenti che si dimettono in modo libero e volontario. Si compila un modulo telematico, selezionando l’opzione “dimissioni per giusta causa”.

Il modulo di dimissioni può essere inviato:

  • in modo autonomo dal lavoratore dimissionario in possesso del PIN dispositivo INPS o SPID, collegandosi al sito cliclavoro.gov.it;
  • tramite intermediari abilitati (patronati, sindacati, consulenti del lavoro, enti bilaterali, commissioni di certificazione e sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro).

>> Naspi: calcolo, importo massimo, durata, decorrenza

La procedura online Dimissioni per giusta causa 

Nello specifico, una volta effettuato l’accesso al servizio dimissioni volontarie, i campi della sezione richiedono le seguenti informazioni:

  • Data decorrenza dimissioni
  • Tipo Comunicazione (da cui sarà possibile selezionare da un menu a tendina fra le seguenti opzioni:
    Dimissioni Volontarie, Giusta Causa, RisoluzioneConsensuale).
  • Nel caso in cui sarà valorizzato come Tipo Comunicazione “Giusta Causa”, il sistema presenterà un campo libero in cui poter inserire la motivazione della dimissione.

Si ricorda, infine, che il diritto alla Naspi è strettamente legato allo stato di disoccupazione, e alla partecipazione a formazione e proposte dei Centri dell’Impiego. Dunque per ottenere l’indennizzo dall’INPS occorre recarsi presso un centro dell’impiego del Comune di residenza e chiedere il riconoscimento dello stato di disoccupato.

In questa sede l’ex lavoratore dovrà sottoscrivere l’impegno alla disponibilità lavorativa immediata e a compilare il modulo DID. Poi ci si dovrà recare personalmente all’INPS a richiedere la Naspi, ovvero il sussidio di disoccupazione.

Per semplificare il processo, la dichiarazione dello stato di disoccupazione sul modulo Did può essere presentata anche all’INPS, potendo così presentare contestualmente sia la propria disoccupazione che la domanda per il sussidio.

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Il presente testo, con materiale online tra cui formuario e giurisprudenza, è strumento operativo sia per i professionisti che per chiunque si trovi ad affrontare le problematiche connesse al fenomeno del mobbing. Si analizza l’argomento sotto due aspetti: uno giuridico e l’altro medico. Da un punto di vista giuridico si prende in considerazione il fenomeno in esame sia sotto il profilo sostanziale che processuale, indicando nel dettaglio i singoli comportamenti mobbizzanti, le responsabilità e le possibili tutele (giuridiche ed extragiuridiche) da attivare. La dignità della persona umana e il rispetto nei confronti dei lavoratori nei luoghi di lavoro costituiscono un punto qualificante della convivenza civile e, al contempo, una misura incentivante per una maggiore produzione lavora- tiva. Infatti, un ambiente di lavoro, dove siano bandite forme di violenza morale nei confronti dei lavoratori costituisce un punto essenziale anche per la migliore produttività aziendale. Invece, da un punto di vista medico, si analizza, in primis, il ruolo svolto dallo stress, sia acuto sia cronico, nell’innescare cambiamenti nella fisiologia dell’intestino e nella salute mentale e, in secondo luo- go, si presentano le principali metodiche utilizzate per rilevare una situazione di stress da lavoro correlato, attraverso l’impatto che quest’ultimo ha sulla salute psico-fisica del lavoratore.  Nicola Botta, laureato in Pedagogia, in Psicologia clinica, in Medicina e Chirurgia e specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Psiconeuroimmunologia. Dal 1983 ad oggi lavora come Psicologo Clinico presso l’Asl di Salerno. È stato docente di Psicologia del Lavoro dal 2006 al 2011 presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Attualmente, è docente di Psiconeuroimmunologia presso l’Open Academy of Medecine, a Venezia. Dal 1999 è responsabile del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia presso l’UOSM DS 67, dell’Asl di Salerno. Dal 2000 si occupa di mobbing come coordinatore del gruppo di lavoro presso la stessa Asl. Autore di numerosi libri e scritti in materia del mobbing. Rocchina Staiano, Avvocato, Docente in Diritto della Previdenza ed assicurazioni sociali e in Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro presso l’Università di Teramo; Docente/formatore in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, ai sensi del D.M. 5 marzo 2013; Docente in vari Corsi di formazione e di master; Membro dei collegi dei probiviri della Cisl Regione Campania; Componente esterno della Commissione Lavoro e della Commis- sione Rapporti Internazionali UE del CNF; Consigliera di Parità della Provincia di Benevento. Autrice di numerose pubblicazioni e di contributi in riviste, anche telematiche.  

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