Se lo scopo del Sen. Calderoli era anche quello di amplificare mediaticamente la sua azione politica con la presentazione di 85 milioni emendamenti al disegno di legge costituzionale di riforma del Senato della Repubblica, bisogna ammettere che c’è riuscito. E’ chiaro che in discussione non c’è la bontà degli emendamenti presentati, ma il grado di vulnerabilità del percorso legislativo nel contesto di una manifesta forma di ostruzionismo politico.
In assenza di specifiche previsioni regolamentari, non è affatto semplice definire il limite di quell’ostruzionismo politico tradizionalmente ammesso dai sistemi democratici. Bisogna quindi salire lungo la scala di astrazione di quei principi costituzionali sottesi all’esercizio di funzioni pubbliche.
L’affidamento di funzioni pubbliche ai cittadini costituisce l’elemento personalistico dello Stato. I cittadini affidatari di funzioni pubbliche hanno una peculiarità rispetto ai cittadini che ne sono sprovvisti. A questi ultimi viene infatti richiesta una “fedeltà qualificata” alla Repubblica, onere ben più gravoso rispetto all’ordinaria “fedeltà” alla Repubblica che la Costituzione richiede ai cittadini e che più comunemente può essere annoverata nel “senso civico”.Tale “fedeltà qualificata”, ancorchè non espressamente tipizzata, è da attribuire a quei cittadini che esercitano funzioni pubbliche in forza di un mandato elettivo espressione della volontà popolare. L’elezione democratica attraverso la quale il cittadino esercita il mandato nei diversi livelli istituzionali (Unione Europea, Stato, Regione, Ente Locale) conferisce allo stesso una responsabilità ancora più pregnante nell’agire per il bene comune, atteso il legame fiduciario intessuto con gli elettori.
La responsabilità che ne deriva si pone automaticamente, ed all’occorrenza, come un limite al pur legittimo uso politico di strumenti ostruzionistici sia di maggioranza che di minoranza, precludendo ai Rappresentati politici investiti del mandato elettivo, qualunque opera non solo di aperto sabotaggio ma anche di subdola, lenta e surrettizia erosione delle Istituzioni democratiche, in quanto queste appartengono a tutti i cittadini e certamente non ai loro rappresentanti politici. Ora, in tale attività illecita di erosione non può non comprendersi il c.d. ostruzionismo della maggioranza politica che, detenendo il potere in un determinato momento storico, promuove quei deprecabili comportamenti consistenti a far mancare il numero legale delle assemblee rappresentative ovvero a troncare ogni forma di dibattito attraverso l’uso/abuso della “fiducia parlamentare”. Il che costituisce un’inammissibile prevaricazione della maggioranza – alla quale non mancano certamente i mezzi leciti per far prevalere la sua volontà politica – nei confronti della minoranza, alla quale viene impedito di esercitare il proprio ruolo di opposizione e quindi l’esercizio di un diritto politico costituzionalmente garantito. Di contro, anche l’ostruzionismo della minoranza politica può costituire un’attività illecita allorquando, come nel caso in questione, approfittando di un vuoto regolamentare, viene presentato un numero sconsiderato di emendamenti al solo fine di allungare sine die l’approvazione di un disegno di legge, ovvero di ostacolarne l’iter parlamentare. Anche in questo caso i citati principi di civiltà giuridica impongono che le minoranze politiche non possono arrogarsi il diritto di bloccare l’attività dell’organo politico di un’Istituzione elettiva, a fortiori quando questa è il Parlamento della Repubblica italiana. La morale di questo ragionamento è che chi è investito di una carica elettiva non si può servire delle Istituzioni piegandole, distorcendole e asservendole per il raggiungimento di fini non astrattamente generali.
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