Così, muore un altro provvedimento a lungo dibattuto nell’anno di vita del governo tecnico di Mario Monti e, con esso, anche le speranze di vedere semplificata la quotidianità tributaria per molti professionisti e contribuenti italiani.
La delega fiscale è dunque finita nell’inceneritore delle riforme incompiute, a seguito della sortita parlamentare del Pdl che ha deciso di uscire di fatto dalla maggioranza, astenendosi prima alla Camera e poi al Senato nell’arco di poche ore su decreto sviluppo e costi della politica.
Da lì, il premier ha annunciato di non poter proseguire con un mandato”condizionato”, confermando la sua intenzione di rassegnare le dimissioni al Capo dello Stato non appena incassata l’approvazione alla legge di stabilità.
Troppo lungo l’iter che ancora attende la delega fiscale, malgrado essa sia entrata tra le priorità dell’esecutivo lo scorso aprile, quando venne addirittura abbozzata la prima suddivisione delle rate Imu.
Il provvedimento che oggi si ferma a pochi passi al traguardo è profondamente diverso da quello ipotizzato in nuce, arrivando a includere anche la riforma del catasto, in un crescendo di alterazioni e modifiche che ne ha rallentato il procedimento in vista dell’ormai svanita conversione in legge.
Dall’origine, la delega fiscale conteneva anche normative per il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, ivi compresa la codificazione dell’abuso del diritto tributario.
A salvarsi in corner, molto probabilmente, sarà soltanto la parte relativa alle cosiddette “cartelle pazze”, che dovrebbe essere inclusa come emendamento ad hoc nella stesura finale del testo di legge di stabilità.
Ieri, però, la conferenza dei capigruppo al Senato ha messo la pietra tombale sul testo della delega fiscale, nonostante la Camera avesse già dato via libera al testo, includendo anche novità riguardo alla gestione dei monopoli di Stato su giochi e lotterie.
Sforzi che, oggi, si scopre essere stati vani, con le elezioni ormai a occupare la mente di tutti i partiti e le riforme che, una dopo l’altra, scompaiono definitivamente dal calendario del Parlamento.
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