Pesante, e neanche del tutto inattesa, è giunta la bocciatura del mercato degli appalti da parte dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.
Dure e inappellabili le critiche mosse dal Presidente Giuseppe Brienza, nella consueta relazione annuale, consistenti principalmente in “uno scarso livello concorrenziale, un’eccessiva litigiosità dei soggetti coinvolti, una sproporzionata durata dell’esecuzione dei contratti nonché un frequente ed immotivato ricorso a varianti che provocano un sensibile aumento dei costi contrattuali”.
Tre, in particolare, i puncta dolentes del mercato degli appalti individuati dall’Authority nel corso del 2010:
– l’utilizzo improprio delle procedure;
– la permeabilità del mercato italiano a prodotti ed imprese da paesi terzi con cui la Comunità non ha concluso accordi;
– le scadenti performance delle stazioni appaltanti e delle imprese.
Immotivato e anomalo l’eccessivo ricorso alla procedura negoziata, quel particolare strumento normativo che permette alle amministrazioni “aggiudicatrici” di scegliere gli operatori economici con i quali consultarsi e negoziare poi le condizioni dell’appalto. Tale procedura è infatti consentita nel nostro ordinamento solo nei casi espressamente previsti dalla legge, a causa dell’eccessiva distorsione del mercato e della concorrenza che un suo utilizzo frequente è in grado di apportare.
Si legge invece nella relazione che “i dati dell’Osservatorio sui contratti di importo superiore a 150.000 euro indicano che circa il 30% del numero di tali contratti viene affidato senza gara ed il 28% del loro valore complessivo è affidato con procedura negoziata”, per un montante complessivo di oltre 37 miliardi di euro, solo nel 2010. Non proprio briciole, dunque, per un mercato che vale 111 miliardi l’anno.
Per contrastare questo utilizzo improprio della procedura negoziata, l’Autorità ha fornito alcune indicazioni, tra cui la maggiorazione dei costi dei contratti per la pubblica amministrazione, e la chiusura del mercato a causa dell’elevata concentrazione di affidamenti a favore di pochi soggetti.
Tali indicazioni sono state in parte recepite dal decreto legge “Sviluppo” n. 70 del 2011 (in fase di conversione definitiva in Senato), che, pur avendo innalzato la soglia per l’affidamento mediante procedura negoziata da 500.000 euro a 1.000.000 di euro, ha tuttavia indicato un criterio per il rispetto della concorrenza ed adeguate forme di pubblicità.
Favorevole, in effetti, il giudizio dell’Authority sul D.L. “Sviluppo”.
Si legge infatti che tale intervento normativo “ha trovato questa Autorità pronta ad accogliere le modifiche apportate al codice dei contratti pubblici, peraltro coerenti con quanto l’Autorità si auspicava”. Inoltre, più volte nel corso della relazione il provvedimento viene richiamato quale esempio di strumento normativo per semplificare il sistema, tutelare la concorrenza e deflazionare il contenzioso.
Diametralmente opposto, invece, il giudizio sui contratti relativi alla realizzazione di lavori ed all’acquisizione di beni e servizi stipulati dalle società con capitale pubblico, anche non maggioritario. “E’ emerso – si legge – che più di 5.000 soggetti, pari al 68%, su un totale di circa 7.300 rientranti in tale tipologia, pur essendo tenuti all’applicazione della normativa sugli appalti, disattendevano sistematicamente le relative disposizioni, compresi gli obblighi di comunicazione”.
Tale accertamento ha evidenziato che gli appalti sottratti attualmente alla concorrenza ammontano a 1,2 miliardi di euro!
Altra severa critica attiene al rispetto della normativa che prevede che le stazioni appaltanti devono preferire le offerte i cui prodotti non provengono, in misura superiore al 50% del valore economico oggetto di gara, da paesi terzi con cui la Comunità non ha concluso accordi, al fine di assicurare il pieno rispetto dei principi di parità di trattamento e di libera concorrenza nelle gare di forniture attivate nei settori speciali.
“Le indagini effettuate nel corso del 2010 tese a verificare la corretta applicazione della normativa in questione da parte delle stazioni appaltanti – dice il Presidente Brienza – hanno mostrato che nella quasi totalità dei casi non è stata effettuata la verifica della provenienza dei prodotti. La problematica risulta di particolare rilevanza in relazione al valore complessivo dei contratti aventi ad oggetto forniture di beni nei settori speciali che è di circa 8 miliardi di euro annui”.
Le critiche più aspre dell’intera relazione sono però riservate alla performance delle stazioni appaltanti, accusate di eccessiva lentezza nella verifica dei requisiti di ordine generale dei concorrenti, previsti dall’art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici, e di “scarsa capacità di gestione degli appalti pubblici che spesso porta ad un prolungamento dei tempi di realizzazione dei lavori nonché ad inasprire il livello di contenzioso, già rilevante in condizioni normali”. Si sottolineano poi le difficoltà delle stazioni appaltanti nella predisposizione di atti e documenti di gara, la mancanza di trasparenza nella scelta di criteri e procedure non pienamente rispondenti alle finalità previste dalla normativa di settore, la scarsa incisività delle stesse nella gestione e verifica dell’esecuzione del contratto da parte del contraente privato.
Di tenore forse ancor più rigido, i rilievi mossi alle imprese concorrenti, dal lato dell’offerta. Si parla di “scarsa qualificazione degli operatori economici” che comporterebbe inefficienza e ritardi nell’esecuzione dei contratti, contenziosi, diseconomicità nel perseguimento dell’interesse pubblico.
Infine, la relazione si sofferma su una sostanziale asimmetria strutturale nel mercato dei contratti pubblici nelle diverse tipologie contrattuali di lavori, da un lato, e servizi e forniture, dall’altro.
Le imprese infatti che parteciperebbero ad una gara di servizi e forniture sarebbero in media 3, a fronte di circa 25 imprese nel settore dei lavori pubblici.
Per l’Authority, “la maggiore partecipazione alle gare dei lavori pubblici è probabilmente ascrivibile ad un sistema di qualificazione che rende omogeneo e trasparente il numero di soggetti abilitati, l’attribuzione ed il relativo controllo dei requisiti di qualificazione”. Ed anche su questo punto, il D.L. “Sviluppo” è stato opportuno nell’introdurre una modalità di individuazione, accertamento e prova dei requisiti di partecipazione attraverso il collegamento alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, garantendo così una trasparenza maggiore.
In conclusione, per l’organismo di vigilanza sui contratti pubblici, pur essendo lontani dal sistema degli appalti pubblici, corrotto e senza regole, vigente al tempo di Tangentopoli, non è tuttavia tollerabile, proprio per l’enorme giro d’affari che vi ruota intorno, un mercato caratterizzato da scarsa concorrenza e modesto rispetto delle regole, da un alto, e da un alto tasso di litigiosità, dall’altro.
Ben vengano dunque, a parere dell’Authority, interventi normativi volti alla semplificazione e alla trasparenza del sistema, in particolare delle procedure di affidamento, e che garantiscano alle stazioni appaltanti efficaci sistemi di controllo, potenziando la diffusione dei dati e delle informazioni, sulla scia dell’istituzione della Banca Dati Nazionale dei contratti Pubblici, prevista dal D.Lgs. 235/2010.
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